In Cavana, nel pieno centro della città abitato ancora, nonostante tutto, da qualche migliaio di persone, sta progressivamente sparendo qualsiasi attività commerciale che non sia quasi interamente vocata al turismo. È un fenomeno sotto gli occhi di tutti, in particolare lungo gli assi pedonalizzati del rione (Via San Sebastiano/Piazza Cavana/Via Cavana in primis), e che ieri è stato fotografato da un approfondito articolo de Il Piccolo sulle ultime chiusure, imposte da aumenti addirittura del 400% dei prezzi d’affitto.

Di fronte a notizie del genere la politica locale solitamente riserva due tipi di reazioni: quelle entusiastiche, di chi ha visto e continua a vedere nell’aumento indiscriminato del turismo l’unico orizzonte di sviluppo della città; e quelle rassegnate, per cui il problema della trasformazione di un intero rione in una sorta di parco divertimenti per turisti “non è di competenza del Comune”. Queste ultime sei parole sono una risposta che aboliremo quando Adesso Trieste governerà la città: come ha ben spiegato Federico Martelloni, Consigliere Comunale di Coalizione Civica Bologna, nel corso della presentazione dell’Assemblea Tematica Economia, la politica locale ha il dovere di utilizzare tutti gli strumenti a propria disposizione nel massimo del loro potenziale, anche con una certa dose di sperimentazione e creatività, senza aver paura di percorrere strade non ancora battute quando si tratta di tutelare i diritti e gli interessi delle persone per cui e con cui la politica dovrebbe prendere scelte coraggiose. 

 

Le buone intenzioni tradite dal Piano Urban: sempre meno commercio locale, sempre più attività turistiche 

È sicuramente vero, infatti, che i fenomeni di concentrazione commerciale spinti dalla monocoltura turistica siano il risultato di diversi fattori, alcuni dei quali resi incontrollabili – almeno non in maniera diretta – dai Comuni a causa di scelte che, in continuità tra centro-destra e centro-sinistra negli ultimi 25 anni, hanno sottratto al pubblico praticamente tutti gli strumenti di regolazione dell’offerta commerciale (le cosiddette liberalizzazioni di bersaniana, e non solo, memoria). Sembra che il ruolo disegnato dallo Stato per gli Enti Locali sia semplicemente quello di abbellire i centri urbani come delle quinte sceniche, apparecchiando la tavola per un banchetto al quale mangeranno le grandi catene, i franchising, proposte commerciali asettiche e uguali a se stesse da Nord a Sud, mentre commercianti storici, piccoli artigiani, e soprattutto residenti che si vedono privati di qualsiasi esercizio commerciale che non sia di somministrazione, restano a bocca asciutta. 

Lo spirito con il quale era stato ideato il Piano Urban, ovvero il miglioramento della qualità urbana di un’area della città di fatto abbandonata garantendo, al tempo stesso, la sopravvivenza dell’economia locale e una qualità della vita adeguata per i residenti, si è conservato a metà: l’”abbellimento” è evidente, le ricadute positive dal punto di vista sociale, per usare un eufemismo, molto meno; una parte rilevante del rione è fortunatamente ancora caratterizzata dalla presenza di edilizia popolare, mentre tutto intorno si moltiplicano seconde case di lusso, strutture ricettive e servizi per turisti.

 

Il patrimonio pubblico: una leva straordinaria, perlopiù inutilizzata, per favorire attività con ricadute sociali positive

E allora, che fare? Bisogna rinunciare a rendere più belle e frequentabili le vie della nostra città, pur di evitare che tutto finisca in mano alle solite quattro o cinque cordate di imprenditori? Assolutamente no: la soluzione sta in un maggiore, non minore, intervento delle istituzioni pubbliche in collaborazione con residenti e operatori economici locali. È necessario infatti non fermarsi semplicemente a strade e arredi urbani: secondo i dati pubblicati – anche se non facilmente leggibili – sul sito del Comune, in Cittavecchia l’Amministrazione possiede 57 fori commerciali, per un totale di più di 2.200 metri quadri di superfici. Questo ovviamente senza contare le partite, altrettanto importanti, degli alloggi ex ERDISU e di Casa Francol. In che condizioni sono tali spazi? Quanti di questi sono utilizzati? È necessario che il Comune utilizzi la leva del patrimonio a sua disposizione per garantire, in Cavana come altrove, la presenza di attività, commerciali e non, che producano un valore sociale, non soltanto un utile economico: la messa a disposizione di spazi ad affitto calmierato o addirittura in concessione gratuita a fronte della garanzia, da parte degli utilizzatori, di svolgere attività che siano di beneficio a tutta la popolazione (inclusi i turisti) è uno strumento potentissimo per ridisegnare i nostri rioni. Esistono già iniziative del genere, ad esempio Barbacan Produce, che vanno sostenute e che andrebbero moltiplicate, anche in quei rioni che, a differenza di Cavana, vivono il problema opposto rispetto alla pressione del mercato immobiliare: una continua desertificazione commerciale. 

 

Un patto tra operatori economici e amministrazione comunale per garantire dignità del lavoro e rispetto dell’ambiente

Allo stesso modo, pur non avendo competenze dirette sulla regolazione del mercato del lavoro, il Comune può e deve utilizzare alcuni strumenti di programmazione, come il cosiddetto Piano Dehors che regola le occupazioni di suolo pubblico, per premiare le attività che garantiscono un’elevata regolarità e qualità del lavoro, ad esempio con l’assunzione tramite contratti stabili, e di tutela dell’ambiente, e viceversa penalizzare le attività che hanno subito sanzioni per il non rispetto delle norme in materia di sicurezza e regolarità del lavoro. Una simile impostazione potrebbe riguardare anche tasse e tariffe comunali, ad esempio la rimodulazione della tassa sui rifiuti per premiare gli esercizi commerciali che mettono in atto buone pratiche nella riduzione della produzione dei rifiuti (ad esempio non vendendo o utilizzando plastica monouso).

Anche l’istituzione di una certificazione che renda evidente ai potenziali clienti l’adesione delle attività commerciali e produttive a determinati standard lavorativi e ambientali potrebbe essere uno strumento in più per favorire la collaborazione tra Amministrazione e operatori economici, verso una città più vivibile e sostenibile. 

Tanto la rimodulazione del Piano Dehor quanto la certificazione comunale sono state adottate, anche grazie all’impegno di Coalizione Civica Bologna, nel capoluogo emiliano.

 

La città è di chi la abita: verso una collaborazione tra residenti, pubblica amministrazione e operatori privati

L’ambizione del Comune, dunque, dovrebbe essere quella di migliorare la qualità degli spazi pubblici, soprattutto nei rioni più periferici, garantendo al tempo stesso le condizioni perché attorno a questi spazi si costruiscano delle reti di residenti, operatori economici, enti pubblici, che riprendano a viverli e gestirli in forma collaborativa. Rigenerare il tessuto sociale ed economico della città, con cura e attenzione, significa anche questo. E questo è l’approccio che Adesso Trieste intende applicare nell’uso che il Comune farà anche di alcuni dei nuovi strumenti che si stanno delineando con il Disegno di Legge Regionale 123 “SviluppoImpresa”, attualmente in discussione in Consiglio Regionale: i “Distretti del commercio”, pur essendo focalizzati esclusivamente sui centri cittadini, lasciano più di qualche margine per costruire strategie diverse per il futuro. Perché non siano un’ennesima occasione persa, però, è necessario che a Palazzo Cheba entrino persone la cui più grande aspirazione per il 2021 non è, come raccontato da Dipiazza, tornare al 2019, ma piuttosto cambiare radicalmente rotta.