Mentre Comune e Regione fanno sfilare sulla passerella di Cannes alcuni dei gioielli immobiliari pubblici più pregiati nella speranza di individuare dei compratori, abbiamo voluto approfondire le informazioni contenute nel Piano Operativo di URSUS, recentemente presentato in Consiglio Comunale. Le indicazioni inserite nella perizia dell’Agenzia delle Entrate, infatti, rappresentano in maniera chiara il futuro dell’area di Porto Vecchio, frutto della scelta fatta di lasciare mano libera sulle destinazioni d’uso ai potenziali compratori, escludendo tuttavia categoricamente qualsiasi funzione produttiva e legata allo sviluppo dell’economia reale della città.
Dalla lettura dei dati emerge che, su un totale di circa 163.000 metri quadri di superfici – tra esistenti e potenzialmente edificabili – sottoposte a perizia, quasi 38.000 sono immaginati a destinazione residenziale, 12.000 per alberghi, 52.000 misti tra uffici e residenza, e 35.000 riservati al commercio al dettaglio, 22.000 dei quali ricavabili con l’espansione dell’edificato esistente nell’area del Bacino 1.
Se si escludono dall’analisi i magazzini già ceduti alla Regione per i propri uffici, dunque, la percentuale di superfici destinate a residenza è di più del 30%, quella per attività commerciali quasi il 29%, quella alberghiera di quasi il 10%. Anche senza contare le aree “miste”, la maggioranza delle superfici verrebbero ipoteticamente occupate di funzioni per le quali gli spazi in città, purtroppo, già abbondano, essendo il tessuto urbano esistente svuotato sia dal punto di vista demografico che in termini di insediamento commerciale. In ossequio alle assurde previsioni inserite nel Piano Regolatore, non si fa invece alcun riferimento ad aree utili all’insediamento di realtà industriali leggere.
A maggior ragione alla luce di queste stime ed ipotesi, vendere un patrimonio pubblico così consistente a uno o più operatori privati significa perdere per sempre la possibilità di correggere la rotta se, com’è tristemente pronosticabile, la ricetta di sviluppo per l’area si rivelerà sbagliata. Ci si chiede perché sia stato costituito un Consorzio come URSUS, che da Statuto si dovrebbe occupare di “promuovere la rigenerazione urbana e la riqualificazione urbanistica delle aree del Porto Vecchio di Trieste”, se poi la sua funzione si sta riducendo a individuare un privato che, da nuovo proprietario, coordini questo lavoro al posto suo. Anche per queste ragioni nell’ultimo Consiglio Comunale abbiamo proposto un potenziamento di URSUS e di valutare concretamente soluzioni alternative all’alienazione, come concessione, affitto e comodato.
La ricetta che Comune e Regione stanno proponendo al mercato è un cocktail dal sapore anni ‘80, quando si fantasticava dell’ipotesi, poi rivelatasi fallimentare, di rilanciare l’economia delle città esclusivamente attraverso la leva immobiliare. La realtà contemporanea è ben diversa, e il prossimo governo regionale, che ormai detiene una parte consistente dell’area, dovrà contribuire a risvegliare il Comune da questo sogno, indirizzando lo sviluppo di Porto Vecchio su spazi e funzioni legate all’economia reale della città, alla produzione ecocompatibile, all’innovazione tecnologica e alla ricerca, tutte incentrate in particolare al mare. Per Porto Vecchio, insomma, serve un vero e proprio piano industriale che agganci lo sviluppo dell’area alle tendenze della transizione ecologica e dell’economia circolare.