Una riflessione di Theo Verdiani sui recenti e tragici fatti di cronaca legati all’abuso di sostanze.

Avete notato che quando uno sbaglia passa inequivocabilmente dalla parte del torto?

Come se uno sbagliando torcesse la morale e deviasse la retta via.

Ma “sbagliare” deriva da “balium”, ossia abbagliare, e quella “S” sottrattiva messa all’inizio fa diventare s-balium una cosa contraria ad abbagliare e che potremmo indicare come “assenza di luce”.

È di assenza di luce che parliamo.

Chiedo: non vedere la luce torce la nostra morale ovvero l’insieme di valori che riteniamo fondamentali, oppure smettere di dare per scontate una serie di regole, valori e “spegnere la luce” è parte del gioco ed è elemento integrante della retta via che tutti noi percorriamo?

Cerchiamo sempre e solo di includere agenti corroboranti al nostro quieto vivere o siamo anche disposti ad accogliere i messaggi rivoluzionari di chi, proprio malgrado, finisce pure a rimetterci la vita per ricordarci che così inclusivi poi non siamo?

Cosa significa, per dire, un ragazzo tossicodipendente nella nostra Trieste: è un grido d’aiuto di una generazione o una risposta nichilista al nostro sogno di futuro?

Se poi allargassimo la visuale noteremmo che al nostro sogno di vita ci è invisa anche la morte.

A me incuriosisce molto il fatto che persino chi muore, oggi, è dalla parte del torto.

Infarto?

Beh! Con la vita che conduceva c’era d’aspettarselo…

Incidente?

Beh! Aveva una guida troppo sportiva, prima o poi…

Tumore?

Beh! Se fumi poi non lamentarti.

Covid?

Aveva già patologie pregresse…

Disastro aereo?

Disgrazia! Se solo avesse preso un treno però….

Vecchiaia?

Magari io a quell’età! Fossi al posto del figlio sarei felice.

Questo al netto degli eroi chiaramente.

Se uno muore ammazzato, giustamente, il torto ce l’ha l’assassino e su questo non ci piove.

In consuntivo abbiamo un pessimo rapporto con la morte, credo.

Forse ogni morte ci porta a “togliere la luce” su ciò che pensiamo della vita e noi odiamo “sbagliare”.

Ecco!

Personalmente le morti per overdose di questi ultimi giorni mi hanno fatto “sbagliare”. “Sbagliare” come hanno “sbagliato” loro.

Ho spento volentieri la luce su ciò che ritenevo “retta via”.

Sono 15 anni che mi occupo di dipendenze da sostanze stupefacenti e 12 anni che lavoro su giovani, under 25, con problemi di uso, abuso e dipendenza da queste e non mi è mai capitato di assistere a delle morti tanto ravvicinate per lo stesso motivo.

Sono scosso.

Sono scosso perché erano giovani.

Sono scosso perché la vita faceva, nonostante tutto, il tifo per loro, perché la vita ama i giovani e volta le spalle ai vecchi e lo sappiamo.

Sono scosso perché queste persone potevano essere i miei nipoti, i miei figli o i miei fratelli.

Morti di overdose?

È normale! Con le famiglie che avevano…

No signore e signori miei.

Io lavoro in un servizio che conta più di 200 ragazzi under 25 con problemi correlati alle sostanze e vi assicuro che abbiamo i figli della Trieste che siamo: ho visto piangere avvocati, docenti, operai, banditi, artigiani, imprenditori e disoccupati con le lacrime di un padre e di una madre spaventati, impauriti… Anzi; “sbagliati”!

Tutti uguali e senza luce.

I ragazzi di età compresa tra i 14 e i 25 anni a Trieste sono poco più di 19.000.

Circa 300 sono in carico alla psichiatria giovani (tentamen, depressione, esordi psicotici, etc…).

Più di 200 sono in carico al servizio Androna Giovani (Tossicodipendenti, programmi prefettura, ragazzi impauriti portati da genitori impauriti..).

Nel novero non consideriamo gli under 25 presi in carico dall’alcologia.

Secondo l’OMS non sarebbe scorretto moltiplicare per 10 volte il numero degli utenti in carico ad un servizio per farsi un’idea di chi potenzialmente di quel servizio potrebbe aver bisogno, ma non ha ancora chiesto aiuto.

Se dicessimo, quindi, che a Trieste su 19.000 ragazzi, 5.000 fossero “sbagliati” non diremmo proprio un’inesattezza. Forse questo ragionamento sarà pieno di fallacie, forse è “sbagliato”, ma può darci un’idea sul fatto che se tutte queste luci si stanno spegnendo, dobbiamo cominciare a fare i conti con il buio e le paure e le fatiche che si porta dietro.

A Trieste abbiamo un grosso problema con le benzodiazepine.

Ricordo proprio a Maggio 2021, durante un incontro mirato alla prevenzione dall’uso di sostanze con una scuola media, mentre eravamo intenti a metterli in guardia in maniera “soft”, una ragazzina alza la mano e chiede: “Ma quando un farmaco smette di essere farmaco e diventa droga?”

Touchè.

Ne siamo usciti con una signora risposta, ma da questo possiamo evincere il fatto che già alle medie i ragazzi hanno sentito parlare di questo fenomeno.

Poi ci metterei la cocaina.

No!

Non pensate a Pablo Escobar, ai salotti eleganti della Milano da bere o a cose così.

Parliamo di cocaina “alla portata” venduta più o meno ovunque e vissuta come una “ragazzata” da concedersi ogni tanto. Solo che i consumatori sono minorenni e magari la ritengono fondamentale per staccare da quella routine fatta di scuola, palestra, piano, judo, arrampicata, amori, etc…

Che dire poi dell’Eroina? Era data per morta, ma invece….

Ah! L’eroina spesso viene sniffata, non più iniettata e molti la usano per far “scendere” la botta di cocaina, niente “Trainspotting” o “I ragazzi dello zoo di Berlino”. Nessuna rivoluzione, solo noia.

Qua mi fermo perché mi sono stufato di parlare di sostanze e, comunque, non utilizzandole, sono sempre 3 passi indietro da ciò che oggi è il mercato. Vivo d’informazioni di seconda mano e mi muovo tuttavia molto lentamente. È che non esistendo più l’educativa di strada tutto ciò che so è frutto della mia paziente ricerca portata avanti con passione.

Detto questo: ma quanto sono “sbagliati” questi giovani?

Non come noi che si giocava a pallone tutto il pomeriggio.

Non come noi che si ascoltava gli 883 o Battisti o, i più matti, si fumavano una canna sognando con i Pink Floyd.

Non come noi che con diecimilalire si prendeva la pizza, due birre, il dolce, il caffè, le sigarette e poi con l’avvento delle videocamere interne per l’antitaccheggio è finita la pacchia.

Loro sì che sono “sbagliati”!

Come si son permessi di spegnere la luce?

Solo perché nelle corti interne non possono neppure giocare a calcio senza che arrivi un energumeno minaccioso a bucargli la palla con un coltello (è successo ieri l’altro in una corte interna dove provo a lavorare con i ragazzi, ma il cattivo vicinato è un fenomeno comune a tutti i complessi abitativi Ater).

Solo perché se se ne stanno a casa a giocare con la consolle si isolano, si alienano e vengono tacciati di essere dei rincoglioniti e non riescono a spiegare che vorrebbero andare a calciare un pallone fuori, ma che gli adulti non li lasciano?

Solo perché passano ogni giorno davanti a posti vuoti che potrebbero diventare qualsiasi cosa e invece niente, diventeranno sempre qualcos’altro, un giorno, forse…

Solo perché continuano a ripetere che chi è nato povero, resta povero a meno che non delinqua e che qui le possibilità sono quelle che sono?

Solo perché le famiglie più povere vanno avanti esclusivamente a doppi turni sottopagati e ai figli tocca di scaldarsi il pasto in microonde e di mangiarlo soli senza la possibilità di un confronto in quel posto fantastico chiamato tavola?

Solo perché figli e genitori non si riconoscono più da un po’ e va bene così?

Solo perché gli altri adulti non pensano più ai ragazzi come ad un patrimonio di tutti, ma li vedono solo come indegni competitor dei loro figli o mere seccature?

Forse solo perché vivono in costante competizione con personaggi mitologici ritoccati con i filtri Instagram che passano 365 giorni l’anno alle Baleari a sorseggiare Mojito restituendo loro solo inadeguatezza?

Forse solo perché abbiamo smesso di proporre loro alternative accattivanti per toglierli dalla strada?

Forse perché di quell’ansia che li logora dall’interno non si può far parola con nessuno perché, se sei triste, tutto ciò che ti sanno dire è “smetti di essere triste”?

O solo perché sono mostruosamente soli?

Magari perché il nostro ben pensare, il nostro essere capaci di restituire sempre e solo la responsabilità individuale alle persone e non accettare mai quella sociale a fronte di una mancanza collettiva e oggettiva sarebbe una cosa troppo dura da ammettere a quest’ora?

Forse solo perché il balium, l’abbaglio, quella luce è la luce dei giovani, del tempo che sarà e se non la alimentiamo questa si spegnerà e si sa: buio chiama buio.

E sarà lì che ci ritroveremo tutti “sbagliati”.

Non lasciamoli soli.