Perché occuparsi di cibo, agricoltura e orticoltura in un’organizzazione politica municipalista? Perché farlo tra Carso e Trieste? Perché occuparsi di questi temi oltre che delle iniziative per una nuova ciclabile del Carso o contro l’ovovia? In realtà, ci sono tanti motivi politici per occuparci di territorio in senso agricolo nel percorso che sta muovendo i primissimi passi dentro Adesso Trieste.

Una storia di comunità, identità, radici

In primis,  un cibo sano, buono e giusto ci permette di avere a che fare con un’identità e una storia (ad esempio la verdura del contadino che conosco, il vino del vignaiolo del Carso che lavora bene). Questa è una delle basi per riscaldare l’energia di una tavola, in quanto strumento genuino di convivio e socialità, ovvero strumento di comunità, utile anche ad alimentare l’identità e mantenere le nostre radici e il nostro spirito. Per il nostro cibo passa una delle linee di resistenza al capitalismo pervasivo, sempre più aggressivo nel plasmare e persuadere le nostre identità profonde inculcando i desideri condizionati dall’industria (1).

Il secondo motivo, è che un cibo buono, pulito e giusto nutre il nostro corpo senza trucchi e danni collaterali (2). Pensiamo non solo a come possiamo nutrirci in maniera sana grazie alle nostre scelte di acquisto individuali, ma anche come scelte politiche possano dare un forte impulso di cambiamento. Un’attenzione e una cura sul cibo con cui nutriamo le e i giovani della nostra città, rifornendoci da una filiera agricola sostenibile e il più possibile locale, deve avere un ruolo centrale nelle mense delle istituzioni pubbliche, a partire da quelle educative (3).

 Ma c’è molto di più.

 Gli impatti della grande distribuzione

Il cibo industriale, cioè quello che domina i supermercati, è considerato una delle cause principali del riscaldamento globale (4), di inquinamento dei territori rurali (5), di produzione di plastica (6), di impoverimento della biodiversità degli ecosistemi (7), tra cui l’impoverimento della biodiversità agroalimentare. Se fosse per l’industria e la grande distribuzione, presso cui viene comprato il 70% degli acquisti alimentari (8), verosimilmente non esisterebbero il raro miele di marasca del Carso o il formaggio della pecora carsolina-istriana, che corrispondono a prodotti, razze animali, sapori e culture materiali a rischio estinzione, non per caso certificati nel 2022 come Presìdi Slow Food (9).

Il sistema del cibo industriale, poi, è spesso legato allo sfruttamento del lavoro nei campi: la competizione tra supermercati sul ribasso del prezzo dei prodotti è associata a una pressione sulle aziende agricole. Il ribasso del prezzo sugli scaffali va recuperato da qualche altra parte, solitamente sull’anello precedente della filiera, ossia la parte agricola, che a sua volta risparmierà sul costo del lavoro, alimentando fenomeni di caporalato, lavoro povero e precario e mietendo vittime nei nostri campi (10).

Città nella rete dei supermercati 

Sappiamo che nel dopoguerra ogni angolo della nostra città è stato coperto da una fitta rete di supermercati. Questo dominio pervasivo è curioso: i supermercati sono dappertutto, rappresentano e distribuiscono cibi prodotti tramite un’agricoltura di trattori, fertilizzanti e pesticidi, lavoro mal pagato, fondata sul petrolio, basata sui grandi poteri di dominio globale, e sembrano avere un controllo indiscutibile della nostra città, così profondo, rione per rione, che ricorda quello militare (11). Questa onnipresenza del supermercato e dei suoi prodotti, del resto pompata da investimenti pubblicitari massicci (12), si traduce in un fenomeno culturale: un “grande carrello” (13) che permea il nostro sentire. A Trieste la situazione sembra patologica: ci sono oltre 100 supermercati per meno di 200.000 residenti, un investimento semi-pubblico di 25 milioni di euro ha dato spazio sulle rive a una multinazionale della grande distribuzione (14) e il Sindaco è un imprenditore dei supermercati. 

Paesaggio e cura del territorio

Sappiamo che le aziende agricole disegnano il paesaggio e possono renderlo meno vivibile o più vivibile. Dove ci sono aziende agricole che funzionano e lavorano bene assieme alla natura, c’è un ambiente sano e vivibile e che, tra l’altro, di solito percepiamo come più bello.  

Viste le avversità geologiche e l’estrema parcellizzazione, la campagna di Trieste è considerata un territorio marginale, su cui è difficile produrre con alte rese quantitative, quindi dall’agricoltura debole: il 78,5% della superficie agricola utilizzata della provincia di Trieste tra 1960 e 2010 è stata abbandonata (15). L’abbandono del nostro ambiente periurbano è una delle origini del proliferare delle zecche e minaccia la ricca biodiversità secolare del Carso. La presenza scarsa dell’agricoltura e della silvicoltura è una delle cause dei gravi incendi al Carso durante quest’estate.

Sostenere la piccola agricoltura

Le aziende agricole nostrane che resistono sono poche e, di solito, di microscopica taglia: delle formiche in un mercato alimentare dominato da giganti.  Le agricoltrici e gli agricoltori resistenti sono da sostenere: non solo si prendono cura del territorio, ma hanno fatto virtù delle sue difficoltà, lavorando in maniera sostenibile e producendo eccellenze organolettiche, in particolare con le produzioni vitivinicole ma non solo. 

Il cibo è stare insieme, è economia, rapporto con la natura, rapporto tra una città e un territorio, identità e spirito, biglietto da visita o souvenir per i turisti. Il cibo e l’agricoltura possono essere un legame solidale e culturale da cucire tra città e campagna, una concreta educazione alla natura. Pensiamo allo sviluppo delle attività di agricoltura sociale già condotte dai servizi del Comune di Trieste assieme ad alcune cooperative e aziende agricole. Pensiamo al successo, con una domanda ancora da soddisfare, degli orti urbani (16). Pensiamo alla promozione  della presenza del cibo locale nella ristorazione. Pensiamo allo sviluppo positivo del rapporto complicato tra la comunità italiana, maggioritaria in città, e quella slovena che, di solito, è quella con le mani nella terra.

Il ruolo di Adesso Trieste

Ci sono certamente tante altre cose da suggerire sull’opportunità di lavorare sul cibo come organizzazione politica. Vorremmo parlarne specificatamente, magari con gli agricoltori stessi, con i cuochi e gli imprenditori della ristorazione, con i piccoli negozianti, con chi organizza mense, orti pubblici e orti didattici, con chi lavora in questo settore, con chi ne fruisce.

Per ora abbiamo fatto qualcosa come Adesso Trieste: in autunno 2022 alcune ‘esplorazioni agricole’ per conoscere in prima persona chi resiste al declino dell’agricoltura locale e abbiamo sostenuto uno sviluppo del Mercato Coperto in cui ci sia uno spazio per i piccoli e micro agricoltori che lavorano in modo sostenibile. A dicembre 2022, abbiamo ottenuto che nel Bilancio del Comune ci siano dei fondi per sostenere questi eventi. Nel futuro pensiamo che possa aver senso continuare su questo tipo di percorso, sviluppando un pensiero di Adesso Trieste su questi temi, alleanze e, se possibile, la costituzione di un progetto di comunità che supporta l’agricoltura (CSA). Così facendo potremmo aiutare alcuni agricoltori comprando sistematicamente da loro, dando a loro alcune certezze sul reddito, come e meglio di quelle che diamo ai supermercati. In tal modo scambieremmo benessere, solidarietà, divideremmo il rischio di impresa e rafforzeremmo circuiti sociali, senso da dare a quei due o tre pasti al giorno che tutti facciamo.

La visione che ci guida

Essere promotori di un cibo sostenibile, anche sostenendo piccoli agricoltori, comprando da loro, conoscendoli, ci ricorda che «il nostro modo di alimentarci determina in larga misura l’uso che noi facciamo del mondo – e ciò che sarà di lui» (17). È uno dei modi per ribadire che siamo a favore di una città che non è quella dei supermercati e dei centri commerciali, ma che sostiene i piccoli e i piccolissimi, che si prende cura del suo territorio e delle persone che lo abitano, a partire dall’atto che più di ogni altro caratterizza la quotidianità di tutte e tutti: mangiare.

 

Note e riferimenti

  1. Per il Premio Nobel per la letteratura del 2022, Annie Ernaux, il supermercato è uno dei pochi luoghi dove ancora è costituita una «comunità di desideri» ma dove, però, le persone sono presenti agli altri senza entrare in relazione, come dentro «una superficie liscia sulla quale si riflettono le persone, i cartelli sospesi sopra le teste». Per Ernaux, all’apparenza nel supermercato ogni giorno è uguale a sé stesso e la Storia non esiste ma, in realtà, riproduce ruoli di potere ben precisi. (Ernaux 2022).
  2. «Uno studio condotto dall’ONG Pollinis denuncia che il 91% delle persone testate al Parlamento europeo contiene nei capelli tracce di pesticidi» (Nardi 2022). Ma i rischi per la salute derivanti dal sistema del cibo industriale sono molteplici: dalla contaminazione dei cibi dovuta a imballaggi e confezioni di plastica (Foltran 2022) ai danni per l’organismo umano derivanti da cibi troppo lavorati e trasformati, con ingredienti chimici.
  3. Cf. lo studio “Hai mai pensato a che cosa viene cucinato nelle mense scolastiche (e in che modo)?”, pubblicato nel 2022.
  4.  Le stime variano. Vedi ad esempio l’affermazione di Poore e Nemecek (2018) citati dalla Corte dei Conti UE (2021) per cui la «produzione alimentare è responsabile del 26 % delle emissioni mondiali di gas a effetto serra». Crippa e altri (2021) sostengono: «Food systems are responsible for a third of global anthropogenic GHG emissions, pubblicato su Nature Food».
  5.  In Italia, nel 2019 «le concentrazioni misurate di pesticidi hanno superato i limiti previsti dalle normative nel 25% dei siti di monitoraggio per le acque superficiali e nel 5% di quelli per le acque sotterranee. La contaminazione rilevata è ancora sottostimata, a causa delle difficoltà tecniche e metodologiche, anche se negli anni l’efficacia del monitoraggio sta migliorando in relazione alla copertura territoriale, al numero di campioni analizzati e alle sostanze cercate.» (Ispra 2021:111). Vedi anche le pratiche insostenibili nella produzione di Prosecco (Forti 2022).
  6. In Italia, riconducibili per buona parte al sistema della GDO, in Italia ogni anno vengono prodotti 35 chili di rifiuti di plastica a persona (Eurostat, citato in Ciconte e Liberti 2019: 100).
  7. «Porzioni enormi di foresta [in Indonesia] sono state rase al suolo per fare spazio alle piantagioni di palma [da olio]», utili a cibi industriali come la Nutella (Ciconte e Liberti 2019: 109).
  8. Da Ciconte e Liberti (2019:6).
  9. Nel caso eclatante dei pomodori, Ciconte e Liberti (2019:80-81) segnalano che gran parte dei pomodori presenti nella GDO è basata su «semi ottenuti in laboratorio tramite esperimenti di ibridazione tesi a renderli il più efficienti possibile. I semi sono prodotti da poche grandi aziende, che appaiono sempre più concentrate», tra cui Monsanto e Bayer. Secondo Coldiretti, tre specie su quattro di frutta e verdure sono state perse nell’ultimo secolo (Ciconte e Liberti (2019:839). I Presìdi di Slow Food nascono nel 1999 per il recupero e la salvaguardia di piccole produzioni di alta qualità organolettica e sostenibilità, minacciate dall’agricoltura industriale, dal degrado ambientale, dall’omologazione. Ce ne sono in tutto 20 in Friuli Venezia Giulia e diverse centinaia in Italia.
  10. Ciconte e Liberti spiegano come la competizione tra supermercati sul ribasso del prezzo dei prodotti, sia associata a una pressione sulle aziende agricole. «È evidente che l’industriale, se deve vendere al ribasso, dovrà cercare di recuperare da qualche altra parte e finirà per rifarsi sull’anello precedente della filiera, ossia la parte agricola. Gli agricoltori cercheranno poi a loro volta di risparmiare là dove possibile, in particolare sui costi del lavoro».  (2019: 66-67). L’esempio classico è quello del pomodoro: dei villaggi fantasma, che si animano solo durante la stagione del pomodoro, «finiscono per radunare fino a 5.000 persone, lavoratori in cerca di un qualsiasi impiego. Sono pagati a cassone -circa 4 euro per tre quintali di pomodoro [raccolti] – e dovranno poi devolvere parte del loro guadagno al caporale che li ha  reclutati» 2019:74 (Ciconte e Liberti 2019).
  11. Nossiter (2015: 83-93) spiega bene come, dopo la seconda guerra mondiale la politica, in cerca di soluzioni miracolose per sfamare tutti, individua come soluzione l’agroindustria, ovvero una serie di complessi industriali già in possesso di scienza chimica, stabilimenti e capitali, ovvero quelli del settore bellico. I nemici del settore nei campi agricoli diventano gli insetti e i processi naturali di rinnovamento della fertilità. Nelle città, d’altra parte, il fenomeno di debordamento del sistema agroindustriale è parallelo e in alcuni casi conseguente a ciò che accade nei campi. Liberti  (2019) ricorda che «il 70 per cento degli acquisti alimentari avviene in un supermercato».
  12. Secondo Il Fatto Alimentare, nel 2021, Ferrero ha investito 120 milioni in pubblicità in Italia. Al secondo posto troviamo Barilla con 100 milioni circa, cifra che però comprende gli spot della pasta (Barilla e Voiello) e quelli dei marchi Mulino Bianco e Pavesi. A seguire nella classifica ci sono Nestlé e le catene di supermercati Conad e Lidl, con valori che oscillano dai 32 ai 40 milioni.
  13.  Cf. Ciconte e Liberti (2019).
  14.  Ci riferiamo a Eataly per cui la Fondazione CrTrieste aveva acquistato il rudere per 3 milioni nel 2005 dalle Coop (Il Piccolo 2018). Secondo Ansa (2017) e Il Piccolo (2017), il totale dell’investimento della Fondazione CrTrieste è stato di 25 milioni.
  15.   Parmegiani (2014) riporta una perdita simile, ovvero del 78,5% della SAU, nei vicini Comuni della ex Provincia di Trieste.
  16.  Cf. Milič 2014.
  17.  Pollan 2006: 21