Sembra che il Dipiazza Quater non lesini a privatizzare tutto quello che è pubblico. Dall’avallare la riduzione dei servizi dediti alla salute e ai servizi di prossimità e comunità all’alienazione dei beni immobili del Comune di Trieste.
È passata in sordina – anche perché forse non è un argomento dal forte appeal politico – il verbale della deliberazione della giunta comunale del 2 dicembre 2021 in merito alle alienazioni e valorizzazioni dell’anno 2022 e del triennio 2022-2024.
Cosa contiene questa delibera? Contiene un elenco di tre pagine di terreni ed edifici che il Comune di Trieste ha il potere di – citando la delibera – “procedere al riordino, alla gestione e alla valorizzazione del patrimonio immobiliare”. Come affermato dalla prima parte del documento figlio della Giunta, questo prevede “[l’]inserimento degli immobili nel piano [e] ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica” con il fine di trovare “un’idonea collocazione nel mercato immobiliare cittadino o per i quali non esiste una forma di mercato”.
Cosa vuol dire questo? Che il Comune (s)vende il nostro patrimonio pubblico, ossia immobili e terreni che fanno parte del patrimonio immobiliare del Comune di Trieste.
Perché? Perché questi, come citato prima, “non hanno trovato un’idonea collocazione sul mercato”.
Tra questi beni figurano, per le alienazioni previste nel 2022 e poi successivamente per il 2023 e il 2024, l’ex sacra osteria in campo Marzio, l’ex carcere femminile di via Tigor e Palazzo Carciotti, messo all’asta per quasi 15 milioni di euro. Da notare bene che la prima asta indetta per Palazzo Carciotti nel 2018 era fissata a 22,7 milioni di euro. Questa sarà la quinta volta che il palazzo storico triestino verrà messo all’asta, e sempre al ribasso.
Ma non è mica che la Giunta comunale abbia cercato delle soluzioni alternative, no, no assolutamente. Non si è pensato in nessun momento alla possibilità di co-progettazione degli spazi pubblici, re-immaginando una nuova destinazione d’uso a questi beni anche per poter ridisegnare gli spazi nella nostra città in funzione di una sicurezza per tutti e tutte all’interno della cornice pandemica che ormai ci accompagna da due anni e non ci lascerà così presto come in tanti e tante avremmo sperato.
Durante la campagna elettorale, come Adesso Trieste, abbiamo fornito, anche nel nostro programma, diversi esempi virtuosi di co-progettazione e ridisegno delle città tramite le lenti della prossimità, della riconversione ecologica e dei servizi alla cittadinanza. E non serve andare dall’altra parte del mondo e, soprattutto, non servono voli pindarici. Servirebbe solo un po’ di volontà politica condita con un pizzico di interesse e rispetto per la tutela del patrimonio pubblico. Ma forse è chiedere troppo.
Forse è chiedere troppo la stesura e l’applicazione contestuale di un regolamento come quello della città di Bologna per “la collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” che darebbe la possibilità a comitati, associazioni e cittadinanza di partecipare alla gestione dei beni pubblici della nostra città. Ma in fondo stiamo solo chiedendo la luna.
Questo piano per le alienazioni per il periodo 2022-24 dimostra, per l’ennesima volta, l’inesistenza di un piano da parte della Giunta comunale di quello che dovrebbe essere uno sviluppo della città volto alla riconversione ecologica, alla rigenerazione urbana dei beni pubblici rimasti sfitti o inutilizzati e dell’introduzione di pratiche di collaborazione con la società civile, il tessuto culturale, il sistema universitario e della ricerca presente in città, e, soprattutto della tutela del bene pubblico. Tuttalpiù dopo gli anni drammatici che abbiamo vissuto e stiamo vivendo e con i soldi del PNRR che arriveranno (anche) in città.
Ma queste proposte discutibili non sono nuove alla neo-giunta, che nei suoi primi 100 giorni ha già avanzato piani, che sicuramente non definiremmo condivisi con i triestini e le triestine, come l’ovovia nella città dove soffia la Bora e il voto favorevole di Dipiazza al ridimensionamento dell’ASUGI sul territorio triestino.
Cosa dobbiamo aspettarci da una Giunta che non ci dà nemmeno il tempo di digerire una scelta scellerata per poi proporne un’altra? Cosa sarà della nostra città tra cinque anni? Avremo il Porto Vecchio che sarà diventato un borgo per i super ricchi, un meraviglioso zoo marino sulle Rive, un’ovovia futuristica costruita con i soldi del PNRR e con il disboscamento di Campo Romano [e molto altro deve ancora arrivare, temo] ma sempre più triestini e triestine che saranno costretti a emigrare perché in questa città vi è spazio solo per opere faraoniche e la svendita del pubblico al privato, senza un piano di lungo periodo che vada al prossimo rendiconto elettorale del 2026.
La politica dall’alto ha fallito. La dimostrazione è quel 47% di affluenza che abbiamo visto alle ultime elezioni al primo turno, e il 42% del secondo. E la Giunta comunale perde colpevolmente qualsiasi treno per riavvicinare la cittadinanza alle istituzioni, evitando di coinvolgerla all’interno di ogni processo e ogni decisione che riguarda il vivere comune all’interno di spazi che sono nostri e dovrebbero essere a nostra disposizione. Perché quello che la Giunta sta alienando a terzi è una cosa: casa nostra.
Giorgia Kakovic