di Gianluca Festini*

Il Coordinamento per la difesa della sanità pubblica a Trieste a cui aderiscono decine di associazioni, lo Spi CGIL e tutte le forze politiche dell’opposizione, ha da poco concluso il progetto che ha visto in campo più di cento volontari in 214 banchetti distribuiti su tutto il territorio della città per circa due mesi. E’ stata l’occasione per confrontarsi con migliaia persone che sentivano il bisogno di dire qualcosa sulle criticità che affliggono il nostro sistema sanitario territoriale ed ospedaliero. Per consentire una successiva raccolta dati, con la collaborazione del gruppo analisi dati di Adesso Trieste, è stato allestito un questionario on-line, compilato da un totale di 2891 cittadini.

I risultati elaborati e presentati all’assemblea generale del coordinamento il 12 giugno sono stati considerati molto significativi anche in relazione al numero di persone che vi hanno partecipato. Il 75% per cento ha dichiarato di aver percepito un netto peggioramento complessivo nell’organizzazione dei servizi sanitari pubblici della città negli ultime 5 anni, peggioramento legato in particolare all’accessibilità, ai tempi di attesa, alla presa in carico dei pazienti affetti da malattie croniche complesse o oncologiche. Un senso di abbandono quindi nei momenti di maggior fragilità.

Il 52% degli intervistati si è rivolto negli ultimi 6 mesi prevalentemente al servizio pubblico/convenzionato, il 20% prevalentemente al privato puro. Disoccupati, over 70/ pensionati sono le categorie che hanno usufruito del pubblico nella percentuale maggiore (rispettivamente 62% e 57%)

Il 52% degli intervistati ha dichiarato di aver avuto problemi nella fruizione dei servizi pubblici/convenzionati;  chi si è rivolto direttamente al privato lo ha fatto a causa di tempi di attesa giudicati lunghi (77% degli intervistati),  per la ricerca di uno specifico professionista referenziato (18%) o per l’assenza della prestazione nel servizio pubblico (12%).

Per niente confortante il giudizio espresso sui singoli servizi specifici. Quello più severo riguarda l’assistenza domiciliare: il 62% dei 1.270 intervistati che hanno risposto su questo aspetto ha giudicato il servizio inadeguato, se non del tutto insufficiente; su circa 2.000 intervistati, il 51% ha dato valutazioni simili ai servizi sanitari pubblici territoriali e ai ricoveri al pronto soccorso. Meno severo il giudizio sull’attività del medico di famiglia e la degenza ospedaliera, giudicati buoni- ottimi dal 35 % e sufficienti dal 27% degli intervistati.

Il 34% ha dichiarato di aver subito importanti disagi economici in seguito alle spese sanitarie sostenute. Tra i disoccupati il 66% ha evidenziato un impatto particolarmente pesante sul bilancio familiare.

Quadro complessivo che ci conferma il progressivo indebolimento del sistema sanitario, con un incremento delle disuguaglianze, di per sé causa del peggioramento delle condizioni di salute, cattive condizioni di salute che a loro volta aggravano la disuguaglianze.

La recente proposta del governo di incentivare il ricorso al privato non risolverà il problema né lo risolverà l’aumento delle prestazioni. Se crei prestazioni avrai prestazioni, non salute.

Occorre invertire la rotta tornando verso una sanità pubblica diffusa e partecipata. Distretti, consultori, case e ospedali di comunità, centri di salute mentale, medici di medicina generale, aziende ospedaliere, università, devono lavorare assieme “fuori e non dentro le proprie mura”.

Scarica il pdf con i risultati dell’indagine

*Gianluca Festini, medico, consigliere di Adesso Trieste in III Circoscrizione