Il 3 dicembre si celebra la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, istituita nel 1993. Lo scopo dell’ONU e dell’Unione Europa, principali promotori dell’iniziativa, è promuovere una più ampia sensibilizzazione sul tema, sostenere la piena inclusione delle persone con disabilità in ogni ambito della vita e ridurre ogni forma di discriminazione o violenza. Nel 2020 c’è ancora bisogno di sensibilizzare a proposito della disabilità? I disabili vengono ancora esclusi? E vi sono reali forme di discriminazione? La domanda sorge spontanea, considerato che viviamo in una società che si definisce “avanzata”. La risposta, tuttavia, è affermativa: c’è davvero bisogno di parlarne, e possibilmente non solo per un giorno all’anno.

Un tempo era comune pensare che la disabilità fosse una condizione propria della persona. Oggi, dopo una lunga serie di studi e politiche a livello internazionale, si è giunti alla consapevolezza che la disabilità scaturisce dall’interazione del singolo individuo con l’ambiente circostante. È quindi l’ambiente a disabilitare, a permettere o meno alle persone di svolgere la propria vita in base alle proprie condizioni temporanee, permanenti o situazionali. Un ambiente, per essere considerato accessibile, deve garantire a chiunque di muoversi in modo autonomo e sicuro, consentendogli di intrattenere relazioni con chi desidera, e di avere un facile accesso a beni e servizi. Se una sola di queste caratteristiche non viene rispettata, non si può parlare di ambiente accessibile. E analizzando lo spazio che ci circonda, per chi vive la condizione di avere qualche tipo di disabilità (motoria, sensoriale, intellettiva, plurima; permanente, temporanea, situazionale), gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione alla società sono con ogni evidenza un’esperienza quotidiana. Il concetto di barriera architettonica è più o meno chiaro anche ai meno “esperti”: l’ostacolo fisico che non permette di accedere a un edificio o a uno spazio pubblico è a tutti gli effetti un elemento che va rimosso, o per il quale va studiata una soluzione alternativa.

Questo alimenta però il fraintendimento che gli ostacoli che impediscono la fruizione dei luoghi e dei servizi siano solo di natura fisica; così come parlando di accessibilità, si è inclini a pensare che si tratti di un tema che riguarda strettamente solo chi vive condizioni di disabilità fisica. Eppure, anche la mancanza di un’adeguata segnaletica o di specifici accorgimenti per una persona ipovedente o sorda sono, a tutti gli effetti, degli ostacoli. Il semaforo verde che dura troppo poco pone problemi di sicurezza per chi, senza avere alcuna disabilità riconosciuta, si muove con lentezza. Il bagno “a norma” di un locale pubblico può mettere in seria difficoltà una neomamma o un neopapà, che in mancanza di un fasciatoio su cui cambiare il neonato, non possono accedervi. Le scritte troppo piccole e poco chiare sulla tabella degli orari del trasporto pubblico locale creano problemi di leggibilità a chiunque non abbia 11/10. Ma anche un ipotetico ufficio amministrativo a sportello che svolge servizio al pubblico per due sole ore al mattino per due volte al mese, senza darne adeguata comunicazione, crea dei problemi di accessibilità a chiunque. Oltre alle “classiche” barriere architettoniche vi sono, dunque, tutta una serie di altre barriere più o meno visibili: di tipo sensoriale, di tipo cognitivo, di tipo comunicativo, di tipo culturale. Barriere che come si è detto limitano le possibilità di fruizione ai più.

Alle domande poste inizialmente se aggiunge un’altra: perché, ad oggi, così tante persone si trovano costrette a vivere quotidianamente così tante barriere? I motivi sono molteplici, come molteplici sono le responsabilità. Chiaramente il primo soggetto a doversi preoccupare di innalzare il grado di accessibilità di una città è il suo Comune: gli amministratori hanno tutte le capacità tecniche, le competenze e le risorse necessarie per affrontare tale sfida, che per essere vinta va affrontata ad ogni livello. Politiche Sociali, Lavori Pubblici, Urbanistica, Attività Economiche, Scuola ed Educazione, Cultura e Sport, Politiche Giovanili: ogni ambito, lavorando in modo integrato, è in grado di contribuire a rendere gli spazi e i servizi della città sempre più accessibili e a misura di tutti. Che ciò non sia ancora accaduto denota come la tematica non è considerata prioritaria, ma le cose devono necessariamente cambiare. Rendere una città più accessibile è una sfida urgente innanzitutto per rispondere ai bisogni delle fasce considerate più deboli, ma allo stesso tempo concorre a migliorare la vivibilità di tutti. Un marciapiede sconnesso e pieno di buche mette innanzitutto in pericolo chiunque abbia delle difficoltà motorie o sensoriali, e persino chi viene distratto dal proprio smartphone : ma la sua sistemazione non va a beneficio di quest’unica grande categoria – “dei disabili e distratti”. Un marciapiede pianeggiante e correttamente mantenuto permette chiaramente una migliore fruizione per tutti. 

Migliorare l’accessibilità è un processo che richiede tempo e studio, processo che va necessariamente guidato in una fase di transizione che può richiedere anche anni. C’è quindi davvero bisogno di parlare di queste tematiche e possibilmente non solo per un giorno all’anno. 

Adesso Trieste intende affrontare il tema dell’accessibilità, cominciando dall’ascolto e inclusione dei cittadini nei processi decisionali: progettare e costruire spazi e servizi per tutti si può, ma per farlo è necessario conoscere le esigenze di chi vive quotidianamente la città, i suoi ostacoli e le sue potenzialità. I processi di partecipazione servono a questo: ascoltare, coinvolgere, co-progettare, condividere e imparare reciprocamente.

Barbara Chiarelli  Comitato Promotore di Adesso Trieste