Sergio Bologna
Incontro sul Museo del Mare
25 maggio 2022

Vorrei riflettere con voi sugli insegnamenti che si possono trarre dall’ultima esperienza di ricerca a cui ho collaborato, sulla partecipazione del Lloyd Triestino a uno dei primi grandi consorzi per il trasporto di container (Agli inizi del container il Lloyd Triestino e le linee per l’Australia, Asterios). Questo lavoro ci ha insegnato che ci sono alcuni passaggi fondamentali nella storia della navigazione, nella storia dell’economia del mare, in cui Trieste ha svolto un ruolo notevole, ma che non sono stati sufficientemente – e in certi casi anche mai – indagati. Sarebbe quindi estremamente interessante e opportuno se all’interno di questo museo potesse essere messa in rilievo proprio la specificità triestina dell’economia del mare.

Da questo punto di vista, vorrei esprimere alcune mie preoccupazioni, ci sono alcuni rischi che vedo e che sarebbero da evitare. Il primo rischio è di fare un museo generalista, cioè un museo che può essere messo da qualunque parte, che può stare a Trieste, a Bolzano o sull’Aspromonte; il secondo è di evitare di fare dei doppioni: se abbiamo dei materiali sulla cantieristica e a Monfalcone abbiamo il Museo della Cantieristica, non vedo per quale ragione ne dobbiamo fare un doppione qui, sarebbe meglio concentrare la tematica della cantieristica da una parte e, semmai, creare un sistema integrato museale con il quale si creano delle occasioni di scambio.

Per esempio, ho sentito di un percorso espositivo che riguarda sia quello che c’è sopra il mare, sia quello che sta sotto. È vero che abbiamo un istituto oceanografico importante, ma un museo sulla biologia marina lo possiamo fare da qualunque parte. Ritengo che sarebbe necessario concentrarsi proprio sulle specificità della storia triestina, che sono molto importanti. Pensate solo a come è nato il Lloyd Austriaco, vale a dire come un intelligence delle assicurazioni.

Non è un caso molto frequente a livello mondiale, per cui seguire questo percorso, questo itinerario, l’importanza che hanno avuto le assicurazioni marittime nell’organizzazione del commercio internazionale… Quando sono cambiate queste assicurazioni marittime? L’abbiamo scoperto proprio lavorando su questo libretto. Sono cambiate quando è stato introdotto il container: dopo trecento anni che la polizza assicurativa marittima era sempre uguale, arriva il container e bisogna cambiare tutto.

Sono storie che lette da Trieste hanno una loro specificità importante e su questo dovrebbe essere concentrato il museo, sulla specificità triestina dell’economia del mare, su cui abbiamo tante cose da raccontare e le possiamo raccontare solo noi. È chiaro che la tentazione di fare un museo che parla della storia di tutta la città è grande, però su questo avrei un caveat: attenzione, se noi tentiamo di fare un museo troppo generalista, rischiamo di disperderci. Un maggiore approfondimento della specificità triestina sarebbe molto importante, perché su questo abbiamo molto da dire.

Sicuramente uno dei punti fondamentali è il rapporto con la scienza. Le spedizioni scientifiche non sono una storia che riguarda solo la Novara, ma proseguono con una storia molto particolare, che continua anche con la Saipem. Dove trovate una robotica sottomarina di questo livello? Direi che la storia triestina dell’economia del mare ha una sua tale particolarità che meriterebbe proprio di approfondirla fino in fondo.

E, ancora, come lo chiamiamo questo museo? Io lo intitolerei a Michele Lacalamita, un grande personaggio, un uomo che è stato presidente dell’Associazione mondiale degli armatori, un non triestino che è stato presidente del porto, presidente del Lloyd Triestino, uno degli uomini che negli anni Cinquanta hanno fatto l’Italia nuova, come Raimondo Luraghi (per l’Alfa Romeo), Senatore Borletti (per la Rinascente), Enrico Mattei (per l’ENI) e così via. Nel campo dell’armamento e della navigazione, Michele Lacalamita ha avuto questo enorme ruolo per tutta l’Italia.

Bisognerebbe focalizzare bene queste cose. Quelli che mi hanno preceduto hanno detto giustamente che il museo deve guardare avanti, non soltanto al passato. Deve suggerire la direzione verso cui stiamo andando? Oggi, a livello di traffici marittimi, che cosa sta succedendo nel mondo del container? Sta succedendo qualcosa per cui sta cambiando completamente il sistema della globalizzazione. Non sono cose da poco, cambia il mondo, e riuscire a dare alcuni elementi, alcuni suggerimenti per dire “Guardate, il futuro va in questa direzione, vivremo in questo mondo” è un altro contributo importante.

Concludo facendo un po’ di chiarezza su che cos’è la Fondazione Micheletti. Siccome ci lavoro da trentacinque anni, vi do solo qualche notizia: Luigi Micheletti era un operaio siderurgico di Brescia, comunista, comandante partigiano; nel dopoguerra fonda una piccola industria di ceramica, imbocca il boom dell’edilizia, fa i soldi, decide di investire tutto il suo patrimonio nella storia del suo territorio, anche nella storia dei suoi nemici. Per cui oggi la Fondazione Micheletti è il luogo al mondo dove c’è la maggiore documentazione sulla Repubblica di Salò, tutti i grandi storici del fascismo hanno lavorato lì.

La cosa poi si sviluppa, fa la rivista “Studi bresciani”, diventa sostanzialmente un istituto di storia contemporanea, finché a questo operaio viene in mente una cosa: perché non facciamo un museo dell’industria del lavoro? E così incomincia a raccogliere dai suoi colleghi industriali vecchie macchine utensili, ne raccoglie circa 300, indìce un bando per la progettazione di un museo che viene vinto da un grosso architetto tedesco, e da allora si parla sempre di costruire questo museo. Attualmente tutto il materiale reperibile è stato concentrato in un grande magazzino di  30.000 metri quadri a Rodengo Saiano, vicino a Brescia.

Nel frattempo il museo si è specializzato su una cosa un po’ strana, in cui sono coinvolto anch’io personalmente. Un giorno – scusate se vi racconto questa storia, ma sono storie museali su come nasce un museo – una mia amica regista mi dice: “Guarda che c’è una delle più antiche case cinematografiche italiane che sta buttando via tutto”, la casa Donato di Milano. Avverto Luigi Micheletti, il quale in fretta e furia porta via tutto, per cui ora a Brescia c’è la più grande collezione storica di proiettori. Questo ce l’ha detto il padre dei musei del mondo, un baronetto inglese. E a partire da qui nasce un progetto molto grosso: abbiamo acquisito l’intero materiale di Gamma Film che è la principale casa di produzione di fumetti, quelli che facevano il Carosello,  e così ora abbiamo un museo che specializzato nella storia del cinema. Abbiamo acquisito tutti i materiali della cinemeccanica che faceva le moviole e abbiamo fatto anche un premio. Per cui presso la Fondazione Micheletti c’è una expertise museale piuttosto ricca.

Poi su come è stato elaborato il progetto da Massimo Negri nel caso del Museo del Mare, posso forse avere delle perplessità, però c’è una competenza piuttosto riconosciuta anche a livello internazionale. Ma dobbiamo riuscire a cogliere la specificità triestina dell’economia del mare, solo in questo modo il museo avrebbe senso.

 

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