Il seguente articolo è stato pubblicato su Il Piccolo del 30/07/2022

“Dovremmo soltanto inchinarci quando un privato viene a investire nella nostra città”. Queste parole, pronunciate da un Consigliere Comunale di maggioranza nel corso dell’audizione di BAT richiesta qualche mese fa da Adesso Trieste, fotografano in maniera chiara il principale problema resosi evidente con l’apertura del vaso di Pandora del “trasferimento” di Wärtsilä in Finlandia: per decenni la politica ha deciso di sottomettersi alle scelte dettate dalla logica – in molti casi miope – del mero profitto privato, e il risultato drammatico, dal punto di vista occupazionale e non solo, è sotto gli occhi di tutti. 

Nata come Grandi Motori Trieste per iniziativa pubblica – parzialmente compensativa della chiusura dei Cantieri Navali e in continuità con la Fabbrica Macchine di Sant’Andrea – l’attuale Wärtsilä venne privatizzata negli anni ’90. Che una produzione strategica in un mercato così particolare come quello navale finisse nelle mani di una multinazionale straniera veniva raccontato, all’epoca, come un fatto non tanto inevitabile, quanto addirittura auspicabile. Così come auspicabile e non solo ineluttabile è stata presentata, in seguito, la transizione dell’economia triestina verso servizi e turismo, settori spesso caratterizzati da lavoro intermittente, precario e malpagato. Una transizione benedetta dalla politica locale che ha bloccato il contributo dell’industria al PIL cittadino sotto il 10%. 

Non c’è da stupirsi se Wärtsilä si muove con spregiudicatezza e arroganza, spalleggiata dal Governo finlandese, scegliendo di desertificare Trieste secondo strategie industriali che nulla hanno a che vedere con la funzione sociale della proprietà privata: non è la prima e non sarà l’ultima azienda a farlo. Non per questo la mobilitazione si deve fermare, anzi: deve continuare ad allargarsi a tutta la città, definendo un nuovo orizzonte di lotta, a nostro parere con due obiettivi.

Il primo: ottenere l’approvazione della legge anti-delocalizzazioni scritta dagli operai GKN che giace non discussa in Parlamento. Il secondo: spingere la politica a passare dalle parole ai fatti sull’intervento pubblico, vincolando innanzitutto Wärtsilä a cedere l’impianto anziché prolungarne l’agonia a base produttiva azzerata, scenario questo che risponderebbe alla logica dell’azienda finlandese di disimpegnarsi da Trieste senza veder sorgere un’azienda concorrente nel proprio mercato. Demonizzata per decenni sulla base di considerazioni ideologiche smentite dalla realtà, oggi la soluzione della nazionalizzazione viene rivalutata da più parti, ma deve diventare qualcosa di più di un proclama. Se perseguita con coraggio e determinazione, questa strada è in grado addirittura di trasformare una crisi in un’opportunità: quella di riportare sotto controllo pubblico un polo industriale all’avanguardia, capace non solo di garantire produzioni strategiche e occupazione sul territorio, ma anche di produrre ricerca e innovazione che possono a loro volta stimolare la nascita di altre iniziative imprenditoriali. 

Una nuova GMT a guida pubblica, la connessione con il sistema della formazione e della ricerca, la piena attuazione ed estensione del regime di Porto Franco Internazionale, un Porto Vecchio destinato prevalentemente alla manifattura leggera: sono questi i tasselli di un quadro che va ricomposto in fretta, con il contributo di tutta la città, avendo il coraggio di dismettere le lenti ideologiche del primato assoluto del libero mercato e rimettendo a fuoco le vere esigenze della popolazione e del territorio. Ne va del futuro della città.

Riccardo Laterza