Man mano che arrivano al punto di ritrovo scelto per la nona esplorazione urbana di Adesso Trieste, alcuni partecipanti confessano di essere solo raramente passati di là, o di non esserci proprio mai stati, e si guardano intorno con una certa meraviglia.

Ci troviamo nella piazzetta del mercato comunale di Borgo San Sergio, e davanti a noi c’è una distesa verde: prati e campi da gioco attraversati da vialetti pedonali, alberi, spazi aperti come non se ne vedono in altre periferie triestine. Ma Borgo San Sergio è una periferia speciale. Ce lo spiega molto bene l’architetta Roberta Perper, ripercorrendo le tappe storiche che, tra il 1949 e il 1956, avevano portato all’ideazione e realizzazione di questa cittadella concepita per favorire la vita in comune delle persone in un ambiente gentile di palazzine basse e piccole case composte da poche unità abitative dotate di giardini e aree di aggregazione sociale. Una visione illuminata e proiettata verso un futuro che, benché siano passati più di sessant’anni, negli altri suburbi di Trieste non è ancora arrivato.

Un abitante di Borgo che abita nel rione praticamente da sempre, il signor Claudio Zaccai, prende la parola per precisare che, in passato, di verde ce n’era anche di più, e che i servizi attualmente presenti, come ad esempio l’ufficio postale, sono stati ottenuti con petizioni popolari e pressioni sui rappresentanti politici.

La progettazione urbanistica orientata alla dimensione umana deve comprendere, oltre agli aspetti funzionali, anche la ricerca della bellezza. Di questo aspetto così essenziale e quasi sempre trascurato ha discusso Jan Sedmak, artista dell’illustrazione che si cimenta anche in opere di arte pubblica. Il grande murale che rallegra la facciata posteriore del mercato comunale di Borgo San Sergio porta la sua firma. Jan ci racconta di come l’opera pittorica sia stata realizzata nell’arco di un mese di lavoro in cui il progetto originale che aveva studiato originariamente si è arricchito di elementi suggeriti spontaneamente dalle persone, e anche dagli animali che passavano di là. Uno dei gatti raffigurati sul murale è infatti lì presente insieme a noi in carne e ossa, steso al sole e intento ad ascoltare le considerazioni di Jan sull’importanza di dare agli artisti l’opportunità di contribuire a cambiare il volto delle città insieme ai loro abitanti.

Attraversiamo un’area giochi attrezzata e molto ben tenuta che ci fa subito capire che gli abitanti di Borgo San Sergio hanno cura del luogo in cui vivono: le attrezzature sembrano in ottimo stato, non ci sono immondizie in giro, c’è un senso di ordine e pulizia dal quale prendere esempio. Passiamo in mezzo a caseggiati circondati da aiuole e piccoli prati selvatici fino a quando ci si para davanti il complesso Ater di case che violano l’equilibrio ricercato dai progettisti storici di Borgo San Sergio e offendono la ricerca di armonia che li aveva ispirati.

Conosciute come “le case dei Puffi”, forse per il loro colore, o anche per i soffitti bassi che gravano sulle unità abitative, queste costruzioni sono emblematiche delle speculazioni edilizie dei decenni scorsi, in cui si riuscivano a coniugare mirabilmente inefficienza e bruttezza.

Un ambiente così oppressivo necessita di supporto per coloro che ci vivono e, così come in altre parti della città, anche nelle case dei Puffi ha fatto la sua apparizione un presidio sociale e sanitario noto come ‘Microarea’. Coordinato dall’azienda sanitaria in collaborazione con il Comune e l’Ater, la Microarea è il punto di riferimento per le necessità dei residenti. Alfio Stefanic, un operatore ora in pensione che ha lavorato per molti anni nel distretto 3, racconta delle situazioni ordinarie oppure estreme con cui il personale di servizio deve confrontarsi quotidianamente. La filosofia alla base del lavoro delle microaree è proprio la collocazione in prossimità delle persone, là dove i bisogni si manifestano. Per evitare che le situazioni di disagio si aggravino e degenerino, ha poco senso aspettare che le persone si spostino per chiedere aiuto. È fondamentale invece lavorare in équipe per coordinare interventi su più piani, da quello sanitario a quello sociale e abitativo.

Ci lasciamo alle spalle i massicci blocchi azzurri e ocra delle case dei Puffi e, prima di addentrarci nel cuore del rione, ci fermiamo all’imbocco di via di Peco, una strada che sale fino a Cattinara e passa in mezzo a un territorio che potrebbe essere un piccolo gioiello naturalistico, con i suoi corsi d’acqua, le cascatelle, i campi di erba alta e le aree boscose, e invece viene sfruttato anche come discarica abusiva. Alcuni abitanti della zona segnalano periodicamente la presenza di cumuli di immondizia e detriti trasportati illegittimamente da ignoti. La polizia locale interviene prendendo atto del reato e delimitando l’area con nastri di plastica i quali, dopo poco tempo, vanno ad aggiungersi ai rifiuti già presenti. Ogni tanto il Comune esegue lo sgombero dei materiali abbandonati, ma poco dopo ne arrivano altri, e tutto ricomincia daccapo. Ci è stato riferito che anche un terreno privato viene utilizzato “legittimamente” come discarica.

Queste sono forse le ombre più oscure di questo rione che, come abbiamo visto, per tanti altri aspetti merita invece grande considerazione per come i suoi abitanti lo mantengono e per l’ispirazione che può offrire ad altri quartieri meno ecologicamente strutturati.

Attraversando silenziose stradine sulle quali si affacciano case di mattoni rossi con fazzoletti di terreno e piccoli giardini, arriviamo a uno slargo di via Aldo Barbaro dove ci sono tante saracinesche abbassate. Alcune di queste sono visibilmente dei garage, altre sembrano chiuse da anni, arrugginite e incrostate. Ma c’è stato un tempo in cui quello slargo era un luogo di aggregazione e incontro, e le saracinesche si abbassavano solo la notte perché quelli erano negozi, bar e botteghe. Ci chiediamo allora, insieme alla nostra Deborah Borca che proprio lì ha trascorso la sua infanzia, se non sia possibile trovare formule economiche con le quali favorire il ritorno delle piccole attività all’interno dei rioni, stipulando accordi che siano vantaggiosi sia per i locatori sia per i locatari, ma soprattutto per la qualità della vita del rione nel suo complesso. Tuttavia, Borgo San Sergio dispone di una buona varietà di attività commerciali, ora quasi tutte concentrate sulle tre arterie principali che definiscono la sua superficie.

Concludiamo l’esplorazione in via Laura e Silvano Petracco , davanti all’ingresso della Biblioteca Stelio Mattioni, uno dei tanti esempi di colpevole sottoutilizzo di una risorsa pubblica. Come ci spiega Antonella Farina, che ha lavorato fino a poco tempo fa proprio nel circuito delle biblioteche comunali, il Comune, anche con l’ormai formidabile scusa mille-usi del Covid, ha ridotto ancora di più gli orari di apertura del servizio, che già erano poco favorevoli per un’utenza di lavoratori e studenti. Il discorso sulla fruibilità delle biblioteche cittadine è ampio e, in definitiva, le carenze che si riscontrano ormai in tutta la città, e non solo qui a Borgo, sono riconducibili alla poca disponibilità del Comune di investire sulla cultura. Infatti, nei periodi che stiamo vivendo, sarebbe naturale organizzare incontri online con gli autori, oppure altre iniziative, sempre con tutte le cautele, che mantengano viva la connessione dei cittadini con la lettura, la conoscenza e lo scambio di informazioni culturali e artistiche. Non sono cose straordinarie, perché in altre città amministrate diversamente vengono fatte in maniera ordinaria anche durante l’emergenza sanitaria.

Un’esplorazione ricca di ispirazioni si conclude anche stavolta, con i partecipanti che discutono e già iniziano a disegnare la Trieste dei prossimi dieci anni che sarà presto descritta più dettagliatamente nel programma elettorale partecipato a cui tutte e tutti possono contribuire.

Vieni anche tu!