Se siete nati a Trieste e dovesse passarvi per la testa di diventare un personaggio illustre, e generosamente decideste che – dopo aver iniziato la vostra discesa agli Inferi – le cose che vi sono appartenute vengano donate alla collettività, avete due possibilità: prima di andarvene potete richiedere una cittadinanza onoraria da qualche altra parte, a Venezia, Lubiana, o anche a Sgonico può andare benissimo; oppure lasciate detto all’esecutore delle vostre ultime volontà di rivolgersi dove vuole ma non in Piazza Unità, perché nel palazzo comunale a nessuno interesserebbe un bel niente di voi e dei vostri altrettanto illustri averi. Sappiate che vi trovereste comunque in ottima compagnia.  

Nel dicembre 2012, l’attrice Ariella Reggio aveva ricevuto dalle mani del sindaco Cosolini il sigillo trecentesco del Comune di Trieste, onorificenza che viene consegnata a personalità di rilievo nella vita pubblica. In quell’occasione, la Reggio aveva pubblicamente ricordato al sindaco che nei magazzini del Comune giacevano ancora dei fondali di scena utilizzati negli spettacoli di Angelo Cecchelin che lei stessa aveva donato molti anni prima, quando era in carica la Giunta Illy, e che sarebbe stato finalmente doveroso organizzare una mostra per ricordare il celebre comico e autore triestino, il quale, nonostante ripetuti tentativi, non ha mai ricevuto neanche gli onori della toponomastica. Di quella mostra nessuno ha saputo più niente.

Proprio un anno prima, nel dicembre 2011, era venuta a mancare Lidia Brattoli Cergoly Serini, la vedova di Carolus L. Cergoly, lo scrittore, giornalista, commediografo e poeta, che con ironia aveva celebrato i fasti dell’Impero Austro-Ungarico con libri memorabili come il celebre Il complesso dell’Imperatore. Non disponendo di successori, Lidia Cergoly aveva deciso di lasciare praticamente ogni bene al Comune, nominandolo erede universale a fianco di alcuni privati ed enti assistenziali e culturali cui erano stati concessi altri legati testamentari. La Giunta comunale aveva rifiutato l’eredità perché nel conto corrente dei Cergoly c’erano solo poco più di 2.000€, ed era emersa la possibilità che fossero ancora aperti contenziosi che avrebbero potuto comportare esborsi da parte del beneficiario del testamento. Quindi, tutto era stato rifiutato in blocco, senza neanche conoscere esattamente la qualità e la quantità di carte, volumi e oggetti appartenuti al grande uomo di cultura.

Ancora a ritroso nel tempo, nel luglio 2010 era morto a Trieste Lelio Luttazzi, musicista e compositore che, tra gli anni ’60 e ’70, contribuì a educare musicalmente il pubblico italiano con un jazz tecnicamente squisito eppure accessibile a palati più avvezzi alle melodie caute e rassicuranti di Sanremo che alle eleganti dissonanze sincopate afroamericane. La porta sbattuta in faccia a Rossana Moretti Luttazzi, la moglie del maestro, quando intendeva donare le cose del musicista al Comune, era stata deludente e amara. Anche la proposta di inaugurare nella città natale di Luttazzi la mostra a lui dedicata era stata ignorata dal Comune di Trieste. In piena sciatta sintonia, anche la Regione aveva snobbato l’iniziativa dopo essere stata interpellata dalla vedova di Luttazzi. L’esposizione infine era stata inaugurata a Roma, e solo un anno dopo, nel marzo 2014, era riuscita ad approdare a Trieste, grazie all’interessamento dell’allora Presidentessa della Provincia, Maria Teresa Bassa Poropat.

Per quanto riguarda l’attualità, grazie al comitato che si è costituito per salvaguardare Villa Stavropulos, da alcune settimane si è tornato a parlare di questo ennesimo lascito importante che nessuna delle amministrazioni comunali dagli anni ’60 ad oggi è stata capace di onorare come richiesto dal donatore, che aveva esplicitamente posto la condizione che il parco e l’immobile dovessero essere messi a disposizione della città per farvi sorgere una “casa dell’arte”. Stavropulos aveva addirittura lasciato anche un altro immobile in via Franca con la clausola che i proventi degli affitti venissero usati per la manutenzione e la gestione del parco e della villa. Interpellato in merito dalla stampa locale, l’assessore Giorgi ha tranquillamente dichiarato che quel denaro finisce nel calderone del bilancio comunale, e che la destinazione d’uso indicata dal donatore è “fuori dal tempo” e dev’essere rivista, anche perché la zona dove sorge il vasto giardino “non dispone neanche di un piccolo parcheggio”. E poi sarebbe la destinazione d’uso a essere fuori dal tempo.

Questa di tradire gli accordi testamentari e svilire il patrimonio artistico culturale della città, oltre a quello umano ed economico, sembra essere una tradizione che accomuna un po’ tutte le amministrazioni comunali degli ultimi decenni. Ma non tutte le tradizioni devono per forza essere mantenute vive per sempre.

Livio Cerneca

La foto è tratta dalla pagina del Comitato, che ha lanciato una petizione per il recupero della struttura