Se il suo destino non fosse stato condizionato dalla presenza della Ferriera, il grande impianto siderurgico che per 123 anni ha fatto piovere pulviscolo nero su davanzali, balconi e giardini, oggi probabilmente Servola sarebbe uno dei quartieri residenziali più ameni di Trieste.

È attraversata da una strada principale percorrendo la quale però non si intuisce il reticolo di viuzze, viottoli e passaggi segreti dove sono allineate piccole case indipendenti con cortili e piccoli appezzamenti di terreno fioriti.

Ha la topografia di un borgo carsico inerpicato, ma è in effetti un villaggio costiero a cui è stato d’autorità precluso l’accesso al mare. Dove avrebbero potuto esserci una spiaggia, un porticciolo e un lungomare, c’è invece il relitto della Ferriera oggi in via di smantellamento. 

Adesso Trieste arriva a Servola in una splendida giornata di primavera e incontra i suoi abitanti e le associazioni locali. 

Si parte dall’ufficio postale di Trieste 15 in via Soncini, un presidio di pubblica utilità che però, secondo qualche funzionario di Poste Italiane, avrebbe dovuto chiudere insieme a quello di Gretta. La vicenda è stata ricordata da Marina Sidonio, già dipendente di Poste Italiane. Per fortuna la decisione è rientrata e tutti e due gli uffici sono rimasti aperti ed attivi, grazie alla mobilitazione ed alle proteste degli abitanti. Tuttavia, qui ancora non c’è un bancomat. Per raggiungere il più vicino bisogna scendere fino a via D’Alviano.

Risalendo per un breve tratto via Soncini, svoltando a destra scendiamo una stretta via che una toponomastica creativa e romanizzante ha intitolato a Sulpicio Gallo, e ci imbattiamo in un vastissimo terreno abbandonato, cinto da un muro diroccato e popolato, oltre che da rovi ed ortaglie, anche da molti alberi da frutto. Il terreno risulta appartenere ad otto proprietari che da anni vivono all’estero – ci racconta un abitante da oltre un cancello – ed hanno affidato la cura del terreno ad una amministrazione stabili in centro città. L’ennesimo caso di malagestione che sottrae spazi ai cittadini piuttosto che renderli fruibili. ”Sarebbe bello se si potesse farne un giardino”, conclude il signore nel salutarci.  

Giunti in via del Pane Bianco dove si trova l’Asilo Comunale; l’ingresso è posizionato su un restringimento della strada – che di fatto non è mai stata completata – mettendo a rischio la sicurezza dei bambini e di chi li accompagna.

Proseguendo ci troviamo quindi di fronte al Museo Etnografico di Servola fondato da Don Dusan Jakomin, un prete che era la memoria storica e culturale di Servola. Qui, una delle addette al museo illustra brevemente i reperti e gli oggetti conservati nelle due stanze al piano terra, e si sofferma su una delle peculiarità ormai quasi scomparse della zona: il pane. A Servola c’erano le pancogole, donne del popolo che producevano il pane secondo procedure e ricette che lo rendevano inconfondibile rispetto agli altri forni della città. Oggi, solo una panetteria sforna ancora il vero pane servolano, o se non altro qualcosa che gli assomiglia molto. La presenza di un museo in periferia è per noi una ricchezza da valorizzare al meglio, anche nell’ottica della promozione di un turismo più sostenibile, attento all’ambiente e all’identità dei luoghi che attraversa.

Ci dirigiamo verso l’area dell’ex cinema di Servola, distrutto e abbandonato dopo un incendio che aveva compromesso la struttura, oggi parzialmente ricostruito e affidato alla società sportiva Servolana, che a sua volta lo ha messo a disposizione del rione. Il problema principale della Servolana – ci racconta il dirigente Roberto Ciriello – è in sostanza lo stesso di tutte le altre società sportive amatoriali di Trieste, cioè la cronica mancanza di spazi, strutture e impianti nei quali svolgere le varie attività, anche perché gran parte dei finanziamenti sono destinati al calcio, lasciando alle altre società poche briciole. Spazi potenzialmente a disposizione ce ne sarebbero, come la palestra dell’ex Irfop, a Valmaura, oggi inaccessibile. In ogni caso, si riesce a garantire la continuità di allenamenti e competizioni affittando palestre in giro per la città e usando il campo all’aperto nella bella stagione. “Quanto resta del Teatro, chiuso dal 2006 – conclude Ciriello – era fino a poco tempo fa  la casa dei colombi, ma non disperiamo di poter recuperare completamente anche questo spazio”. Nell’area dell’ex cinema prende la parola anche Mario Debernardi, storico volto del Gruppo Maschere Servolane Lalo, che ricorda l’assenza di spazi adatti ad ospitare iniziative anche al coperto in occasione della ricorrenza, molto sentita nel rione. 

A pochi passi dall’ex cinema c’è il circolo Falisca, un punto di riferimento sociale e ricreativo per gli abitanti della zona. Il suo Presidente, Alessandro Radovini, ci ha supportato nell’organizzazione dell’esplorazione, e a lui, come alle altre associazioni che hanno promosso nei mesi scorsi un percorso di partecipazione con i residenti di Servola sul futuro del rione, va il nostro ringraziamento. Il Circolo è ospitato nella Casa del Popolo “Zora Perello” – ci spiega Roberto Filipaz – recuperata dal degrado in quattro anni di lavoro volontario cui ha contribuito quasi tutto il rione, ed oltre al Circolo dell’ARCI ospita quello del PRC e un ufficio dello SPI CGIL: è quindi un luogo di aggregazione ed un punto di riferimento storico ed affettivo del borgo. 

Tornando su via di Servola incontriamo Claudia Cergol, la titolare di un bar latteria, protagonista di tante battaglie ed iniziative a difesa delle attività commerciali sin da quando nei primi anni ‘90 del secolo scorso cominciò la crisi per tutta Servola e che però, con realismo, imputa la chiusura di tanti negozi e botteghe anche ai cambiamenti della società e delle abitudini, incluso l’avvento della grande distribuzione. Prendere atto delle trasformazioni del mondo non significa però volerle sempre subire, e Claudia pensa che bisogna in ogni caso cercare di recuperare una dimensione più umana e raccolta anche nelle transazioni commerciali.

Di fronte alla latteria c’è il Circolo Culturale – Kulturno Društvo intitolato a Ivan Grbec, un autorevole musicologo della Servola del secolo scorso. Autore di composizioni corali e diverse altre opere musicali, era un uomo molto amato a cui gli abitanti del rione si rivolgevano per aiuto e consigli anche per problemi di vita quotidiana. Tatjana Masala ci racconta la sua storia, e le persecuzioni e le vessazioni subite dalla popolazione di Servola, prevalentemente slovena, durante il Fascismo. Nel cortile del circolo c’è una targa, per ricordare l’importante sacrificio di vite umane che i rioni di Servola, Sant’Anna e Coloncovez hanno pagato per combattere la dittatura. Ci è sembrato il miglior modo per festeggiare la Liberazione, sebbene con un giorno d’anticipo.

Davanti all’unico negozio di abbigliamento di Servola, la signora Roberta, una simpatica e loquace donna dai capelli rossi ci racconta aneddoti di famiglia e piccole storie servolane che saremmo rimasti a sentire a lungo, se non avessimo dovuto raggiungere l’ingresso della Ferriera, in via San Lorenzo in Selva, per incontrare Tullio Salvador e Waldy Catalano.

I due ex lavoratori dello stabilimento siderurgico ripercorrono i momenti salienti della storia di questa controversa fabbrica che, inizialmente amata dalla popolazione perché garantiva occupazione, con l’accrescersi della consapevolezza sulle questioni ecologiche è diventata il simbolo del fallimento di un modello produttivo che privilegia il profitto e mette in secondo piano la salute e l’ambiente. Oggi la sfida è quella di impegnare attivamente il Comune non solo nella partita delle bonifiche e della riconversione produttiva, ma anche in quella della restituzione al rione di quanto è stato pagato negli ultimi decenni, con investimenti che garantiscano la sua rinascita sociale e ambientale, in continuità con le lotte degli operai per il “salario sociale”. 

L’esplorazione urbana si conclude in via Pitacco davanti a un monumento che, fino a pochi anni fa, era stato dimenticato sotto una vegetazione selvatica di rovi e cespugli. È l’ennesimo emblema di retorica nazionalista di cui Trieste è disseminata, ma resta comunque un pregevole bassorilievo di Marcello Mascherini (è del 1959) che raffigura San Giorgio, e la storica dell’arte Fabiana Salvador, a cui si deve alcuni anni fa la riscoperta di quest’opera, ci racconta come è riuscita a ricostruirne l’origine e il contesto storico.

Adesso Trieste è di nuovo sulle strade di città e periferia, e continuerà ad esserci.