Egregio architetto Massimiliano Fuksas,
so che lei e sua moglie Doriana interverrete oggi a Trieste per presentare il progetto relativo alla stazione di Porto Vecchio dell’ipotizzata cabinovia, alla quale una gran parte delle triestine e dei triestini è fermamente contraria, per non dire ostile.
Nell’anno 2000, sempre insieme a Doriana, lei diresse la Biennale di Venezia col motto “less aesthetics, more ethics”, meno estetica, più etica.
Nel 2009, nel corso di un’intervista rilasciata a Repubblica, ci tenne a chiarire che non aveva cambiato idea, e ribadì il suo pensiero dichiarando:
“Non c’è architettura o bellezza se non c’è etica: qualsiasi progetto deve confrontarsi con l’ambiente, il contesto, la sostenibilità. […] Non ci possiamo più permettere di immaginare un bel progetto che non sia anche un servizio alla civiltà”.
In un’altra recentissima intervista pubblicata pochi giorni fa su Domani Press News, lei è ancora più determinato, e dice:
“Noi uomini non abbiamo tenuto cura del nostro habitat, l’abbiamo sfruttato, martoriato e distrutto quasi totalmente. Mi viene in mente l’esempio emblematico della Sardegna ricca di boschi che sono stati per legge eliminati per costruire le città seguendo il modello post unitario che è stato causa di molti scempi naturali nel nostro paese. Roma, Firenze e Napoli furono le prime città a subire questo cambiamento edilizio con un modello di città imposto dall’alto che non teneva conto dell’ambiente circostante”.
Architetto Fuksas, sapere che il suo lavoro e la sua missione artistica e sociale poggiano su pilastri così solidi mi conforta. Ma non capisco come tutto ciò possa accordarsi coi pilastri sui quali saranno piantati i tralicci della cabinovia, un impianto che ferirebbe irrimediabilmente il territorio senza risolvere neanche in parte il problema della mobilità urbana. Davvero, in quel progetto non c’è traccia di etica e di bellezza. È invece un perfetto esempio di quel “modello di città imposto dall’alto che non tiene conto dell’ambiente circostante” per il quale lei sembra nutrire un disprezzo che condivido.
Come si conciliano allora le sue parole con i fatti? Perché ha accettato di far comparire il suo nome in un’operazione che contraddice ogni valore in cui sostiene di credere?
Lei è un uomo molto impegnato, forse non ha avuto il tempo di approfondire, o le informazioni le sono arrivate incomplete o alterate. È ancora in tempo per rivalutare la sua partecipazione a un’impresa che accosterebbe il suo marchio professionale a uno scempio ambientale, a un fallimento completo dal punto di vista funzionale, a un danno economico che avrebbe conseguenze nefaste per decenni.
Senza contare poi che i committenti coi quali si sta confrontando l’etica non sanno neanche cosa sia. Lei ha capito con chi ha a che fare? Cerchi sulla stampa nazionale, ma anche su quella estera, le cronache riguardanti gli amministratori pubblici di questa città e della Regione negli ultimi dieci anni. Ne resterà raccapricciato: troverà saluti romani, razzismo, omofobia, negazione dei diritti, devastazione dell’ambiente, teppismo istituzionale, censura artistica e altre indicibili oscenità.
All’incontro cui lei e sua moglie parteciperete a Trieste dovrebbero essere presenti anche alcuni rappresentanti dei cittadini che si oppongono al progetto della cabinovia. Accetti di incontrarli, si faccia spiegare il loro punto di vista, si prenda il tempo di leggere la documentazione tecnica preparata dagli esperti del Comitato NO Ovovia in cui si dimostra quanto lontana sia questa pazzia dal modo che lei ha di intendere l’architettura e l’urbanistica.
Confidando che questa mia la raggiunga rapidamente, le auguro una buona visita e permanenza a Trieste, la mia città per la quale desidero un futuro fondato sull’etica sociale e il rispetto per l’ambiente, cioè quei principi cui anche lei ha detto e ripetuto di volersi ispirare.
Cordiali saluti,
Livio Cerneca