Sabato 16 luglio ci siamo trovati alle 10 in piazzale De Gasperi per la terza esplorazione urbana nella Sesta Circoscrizione (San Giovanni-Rozzol-San Luigi).

1. Siamo partiti osservando i cancelli sbarrati, le transenne e recinzioni dell’ex Fiera Campionaria, un sito il cui futuro è incerto, ma che nel presente versa in un pietoso stato di degrado e di abbandono, le demolizioni dei capannoni si sono fermate, crescono ortaglie e si accumulano detriti e immondizie.

Ricordiamo che già nel novembre 2017 era stato presentato da un gruppo di investitori austriaci un progetto di massima per la riqualificazione dell’area: allora si parlava di un investimento di circa 70 milioni di euro per la rinascita e il riuso di una superficie urbana di 30.000 metri quadrati da destinare a iniziative private e a spazi pubblici con ricadute occupazionali quantificabili in circa 300 posti di lavoro ed erano stati già versati al Comune 12 milioni di euro. È vero che gli austriaci della Mid Holding avevano poi fatto un passo indietro e l’area era stata acquisita da una società locale, ma gli austriaci erano ritornati nel 2019.

Ci chiediamo allora: quale iter è stato seguito e come siamo messi ora, cinque anni dopo? Inoltre i lavori avrebbero dovuto riprendere lo scorso febbraio, ma sinora è tutto fermo! Come mai? Argomenti per un’interpellanza in Consiglio Comunale non mancherebbero. C’è qualche retroscena della vicenda che i cittadini (non) devono sapere? Noi pensiamo che per recuperare la fruibilità di questo vasto sito servano più progetti e non l’ennesima colata di cemento.

2. Piazzale De Gasperi. Il giardino del piazzale, che ha una piccola area giochi perimetrata da una decina di alberelli, andrebbe completamento ripensato e rifatto, con molta erba e acqua…

Un anno fa l’associazione Kallipolis ha avviato un progetto Erasmus Plus – progetto europeo di formazione e scambio – per coinvolgere giovani di Trieste e Capodistria e analizzare insieme gli spazi pubblici, usando il metodo del placemaking con l’obiettivo di progettare spazi più accoglienti e vivibili per i cittadini. Lo scopo era di valutare se lo spazio è abbastanza accogliente, se ci sono abbastanza attività, se è abbastanza illuminato. Per valutare insomma la qualità dello spazio anche dal punto di vista di genere: le ragazze si sentono al sicuro?

Spesso infatti gli spazi pubblici sono escludenti nei confronti delle donne ma anche degli adolescenti, dato che sono attrezzati perlopiù per bambini o famiglie. Attraverso il PAG (Progetto Area Giovani, ex ricreatorio Toti) e alcune scuole superiori, sono stati coinvolti una ventina di giovani con l’obiettivo generale di produrre un’analisi egualitaria attraverso la riappropriazione dello spazio pubblico. Sono stati gli stessi partecipanti al progetto a scegliere lo spazio su cui concentrare l’analisi (in questo caso piazzale De Gasperi), tra una rosa di spazi possibili. E questa è una zona da indagare molto interessante perché lo spazio è molto grande e va riqualificato.

Tra le cose interessanti emerse: nonostante lo spazio sia enorme, soltanto lo spazio centrale è vivibile, e solo una piccola parte di giovani si sentono accettat* e accolt* in questo spazio centrale. Il parcheggio è vissuto come pericoloso, soprattutto dalle ragazze. In generale non è uno spazio molto accogliente, si ha percezione di insicurezza (non è ben illuminato, ampia parte riservata al parcheggio). Ma è emersa anche un altro aspetto interessante: dalle giovani è apprezzato l’uso promiscuo dello spazio, per avere una sensazione di maggiore sicurezza. Le ragazze dicono: vogliamo avere il nostro luogo protetto, ma preferiamo che sia vicino alla zona attrezzata per le famiglie (spazio centrale con i giochi per bambini), perché in questo modo ci sentiamo “tenute sott’occhio” in maniera indiretta e quindi protette. La finalità del progetto non era riprogettare lo spazio, ma produrre gli output intellettuali, dei toolkit (strumenti comunicativi) per avviare una progettazione con un approccio di genere e per sensibilizzare le amministrazioni comunali attraverso la coprogettazione degli spazi.

3. Sulle sorti dell’Ippodromo di Montebello (85.000 metri quadrati di superficie) che festeggia 130 anni di attività, l’augurio è che ne possa festeggiarne altrettanti. Ma va tutto bene? Quali domande dobbiamo farci per saperne di più? Ci siamo così rivolti all’attuale direttore Marco Marzulli, che ci ha inviato questo contributo:

«L’ippodromo di Montebello, inaugurato il 4 settembre 1892, è gestito dal 1994 dalla Nordest Ippodromi S.p.A., società che ha la sua sede legale a Treviso, dove si trova l’ippodromo di Sant’Artemio con le sue piste di trotto e galoppo, e che gestisce anche l’ippodromo Comunale di Ferrara. La struttura è di proprietà del Comune di Trieste che, per l’appunto, ha affidato la gestione a Nordest Ippodromi.

Attualmente le giornate di corse, che vengono assegnate dal Ministero dell’Agricoltura, sono una trentina e si disputano nel mese di gennaio, da marzo a luglio e da ottobre a dicembre con cadenza di una alla settimana. La passione per questa disciplina rimane ancora viva nel pubblico di Trieste, tant’è che molti affezionati si lamentano delle lunghe pause estive ed invernali. Nei primi anni 2000 le giornate sfioravano il centinaio e talvolta le riunioni erano addirittura tre alla settimana. Le varie crisi che il nostro paese ha subìto, e soprattutto la creazione di nuovi giochi offerti dai Monopoli di Stato, hanno portato a una progressiva riduzione dei convegni in tutti gli ippodromi italiani.

Attualmente in una giornata di gare sono presenti dai 50 ai 70 cavalli. Molti provengono dal Veneto, alcuni dall’Emilia Romagna e altri da qualche centro di allenamento della nostra regione. Da qualche anno si è fatta importante anche la presenza degli sloveni. Più raramente vengono a correre cavalli austriaci e tedeschi. Nel corso dell’anno si disputano due Gran Premi. Il “Giorgio Jegher” a marzo e il “Presidente della Repubblica” a giugno. Sono corse nelle quali il montepremi in palio si aggira sui 40.000 € e pertanto sono giornate importanti per l’ippodromo perché in queste occasioni arrivano cavalli di una certa levatura e spesso da tutta la penisola.

La pista di Trieste misura circa 800 metri ed è considerata abbastanza tecnica dato il raggio di curvatura delle curve piuttosto stretto. Queste ultime sono state riprogettate in epoca moderna seguendo la forma della clotoide e imponendo delle pendenze al limite del consentito. Tutto ciò per evitare che i cavalli, al massimo della loro velocità sulla rette, evitino di allargarsi sulla curva perdendo la traiettoria. Al momento il record della pista appartiene a Tinto che il 16 giugno del 2019, sulla distanza dei 1660 metri, due giri di pista classici, fece segnare un ragguaglio al chilometro di 1.12.4.

Concentrica alla pista da gara si trova la pista di “sgambatura” dove i cavalli vengono condotti al trotto leggero per riscaldamento o defaticamento. L’ippodromo è certificato per una capienza massima di 8.000 persone. La tribuna, ancora avveniristica nel suo genere, è stata progettata dall’architetto Boico, come pure la struttura del ristorante che si trova a fianco. All’interno, durante la giornata di gare, è possibile effettuare le scommesse sulle corse in programma nell’ippodromo e anche in quelli attivi nello stesso giorno. Tutte le scommesse vengono prese in carico dal totalizzatore nazionale che elabora le quote in tempo reale.

Per quanto riguarda la zona delle scuderie, l’impianto può ospitare circa 200 cavalli. I box si trovano all’interno di quattro caseggiati. Il più vecchio risale al 1951 e le sue mura si affacciano sul parcheggio di Piazzale de Gasperi. Il caseggiato più recente è degli anni ’80 e si trova a ridosso della linea ferroviaria che collega il porto all’altipiano. Montebello è riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura anche come centro di allenamento e per questo motivo può ospitare cavalli stanziali. Al momento ce ne sono una trentina e sono gestiti da allenatori professionisti che se ne prendono cura e li allenano ogni giorno della settimana. Disputano regolarmente le gare qui a Trieste ma anche negli ippodromi vicini di Treviso e Padova.

Da circa dieci anni, la Nordest Ippodromi ospita all’interno dell’impianto di Trieste la A.S.D. Volontari dell’Alpe Adria con i suoi cavalli da sella per la specialità del salto ostacoli. Sono presenti all’interno dell’anello due campi in sabbia, uno da 20×40 metri e l’altro da 40×60 metri. Il circolo ippico oltre a ospitare cavalli di proprietà è aperto anche a coloro che desiderino provare ad andare a sella. Dispone infatti di un discreto numero di cavalli da “scuola” con i quali è possibile prendere confidenza e imparare le regole basilari per la costruzione del rapporto fra uomo e cavallo.

Nel periodo estivo vengono organizzati dei corsi di avviamento all’equitazione destinati a tutti i bambini. L’ippodromo di Montebello si è prestato più volte nel corso degli anni a ospitare eventi di vario genere. A cominciare dalle gare di “Dirt Track”( terra battuta) del passato per proseguire con i concerti, i passaggi del Giro d’Italia, i caroselli dei carabinieri e dei Lancieri di Montebello fino alle più recenti Trieste-Opicina.

È chiaro a tutti che l’ippica in Italia sta vivendo una pagina un po’difficile della sua storia e quindi molte società che hanno in gestione o sono proprietarie di ippodromi cercano di modificare la loro offerta. Qui a Trieste la Nordest Ippodromi sta raggiungendo un accordo con il Comune per aprire al pubblico una parte del parterre, creando uno spazio per l’attività fisica e il divertimento. Un importante evento è già stato programmato il 12 e 13 novembre: il Tattoo Expo che si sposta dalla storica sede del Salone degli Incanti alle tribune del Montebello

Questo spazio quindi potrebbe supportare iniziative analoghe di carattere commerciale, artistico o altro? Crediamo di sì.

4. La Stazione di sollevamento idrico. Prima di oltrepassare la strada per recarci nel Complesso Ater ci siamo soffermati nei pressi della stazione di sollevamento idrico di Rozzol-Ippodromo (ce ne sono 16 in tutta la città e provincia: Aurisina sorgenti, Santa Croce Filtri; via Gelsomini, via Cologna; Gretta; Banne; via Pindemonte; Rozzol; S.M. Maddalena; Zaule; Farnei; Felszegi; San Rocco; Basovizza; Baredi-Siot; Caresana). Una breve sosta per ricordare il valore del patrimonio pubblico che è una garanzia di sviluppo della città e soprattutto l’importanza delle tante opere di ingegneria idraulica realizzate dalla ex municipalizzata che hanno consentito, nel tempo, migliori livelli di qualità della vita. Resta importante difendere un bene pubblico, oggi di proprietà di una Multiutility (AcegasApsAmga ) che gestisce il “Ciclo Idrico Integrato” a Trieste e Padova.

Abbiamo chiesto all’ingegner Giorgio Priolo, già dirigente nell’ex municipalizzata, di poter avere qualche elemento di conoscenza utile, anche storica e lo ringraziamo per il suo contributo.

«Preciso che in ACEGAS non mi sono occupato di distribuzione idrica urbana, perciò posso fornire solo indicazioni generali. A partire dagli anni ’80-90 (costruzione del nuovo “acquedotto dell’Isonzo”) tutta l’acqua potabile della provincia di Trieste proviene dal sottosuolo profondo del territorio alla sinistra idrografica del fiume Isonzo. Viene prelevata dalle falde artesiane, profonde fino quasi 200 metri, attraverso numerosi pozzi trivellati a partire di primi anni ’80 in località Pieris-San Pier d’Isonzo. È di qualità ottima già all’origine (addirittura “superlativa” a detta dei trivellatori, che di acque ne hanno viste e assaggiate di tutti i tipi).

Dai pozzi viene pompata e convogliata in una tubazione d’acciaio del diametro di 1500 mm fino a un grande serbatoio, detto “vasca d’oscillazione”, situato in prossimità della Rocca di Monfalcone. Da qui, per gravità, scende in una tubazione d’acciaio del diametro di 2000 mm al comprensorio aziendale del “Randaccio”, sito a San Giovanni di Duino. A questo punto, attraverso gli impianti preesistenti al nuovo acquedotto, viene pompata alle due torri piezometriche di Sistiana e di Duino e convogliata in città con le due tubazioni del diametro di 900 mm (strada “costiera”) e 1300 mm (sottomarina) fino agli impianti della stazione di Gretta.

In città la distribuzione dell’acqua avviene mediante stazioni di pompaggio che sollevano l’acqua a numerosi serbatoi, dai quali per gravità l’acqua arriva nelle case ed esce dai rubinetti. Data la conformazione altimetrica della città, costituita da numerose colline, e non potendo consentire una pressione al rubinetto superiore a 4-6 atmosfere (per la sicurezza degli impianti domestici), la distribuzione urbana è stata suddivisa in due zone, “alta” e “bassa”, con relative stazioni di pompaggio e serbatoi. Come si può immaginare, un tempo ogni stazione di pompaggio era presidiata da personale in loco per il suo funzionamento.

Con il passare degli anni si sono sempre più sviluppate le tecnologie di telecomando e di telecontrollo, per cui al giorno d’oggi l’intera distribuzione idrica viene gestita da remoto in una sala dotata di moderne apparecchiature sita nel comprensorio aziendale del Broletto, con poco personale molto specializzato. Con quest’attività s’intende la gestione dei servizi di captazione, potabilizzazione e distribuzione di acqua potabile.»

Le domande potrebbero essere le seguenti: come viene garantita oggi la perfetta operatività dell’impianto? Chi controlla la rete idrica e dove avvengono le maggiori perdite? Come sta procedendo la distrettualizzazione operata sulla rete idrica – 78 distretti – di Trieste e provincia e relativo monitoraggio? Quanto personale è oggi addetto in questo settore? E alle relative incombenze? In quale maniera possiamo ancora parlare di “acqua bene comune”?

5. Ater e Microarea. All’interno del Quadrilatero il bar, c’è un vasto spiazzo erboso all’interno, erba incolta, non attrezzato solo qualche panchina. Di fronte al Bar la grande mole, vuota e abbandonata (cade a pezzi) del palazzo ex Aci e Motorizzazione Civile. Come mai non è stata recuperata a uso pubblico?

Ma c’è la Microarea dove lavora Matteo Verdiani, consigliere AT della Sesta Circoscrizione. Nel suo racconto si evidenzia l’importanza del progetto Habitat di Asugi, l’esigenza di tenere assieme salute e socialità, attraverso grandi momenti di socializzazione, superare la logica dei divieti per cui il Comune ha pensato unicamente all’ordine pubblico, ma il disagio, l’emarginazione, la reclusione coatta tra queste mura non si supera con la logica da caserma. La Microarea funziona anche grazie al volontariato (c’è la Fondazione Luchetta che dà una mano), poi con l’educativa di strada, con focus mirati a capire come e da dove nascano fenomeni come le “baby gang” volendo utilizzare il titolo ad effetto di un articolo apparso sul “Piccolo” di qualche anno fa. Ma il sensazionalismo fa male, accentua anziché risolvere i problemi, ci sono situazioni di reddito e povertà diffusi e oggi, con la pandemia crescenti, “abbiamo bisogno di sostegno alimentare per i molti casi di povertà che registriamo” dice ancora Matteo, prima di proseguire nel nostro giro.

Sul lato destro di via Cumano oltre alla caserme ancora in piedi ma vuote e da tempo deserte ecco però comparire uno stallo per 12 bici con un pannello indicatore che segnala i punti di bike sharing presenti in città. Una iniziativa lodevole e da estendere (oggi ce ne sono 12) ma qui chi lo utilizza? Quanta domanda c’è stata? Perché non davanti all’area museale cento metri più in là?

Sulla sinistra osserviamo un piccolo angolo della Rozzol di un tempo, in via Veruda dove funziona ancora una fontanella pubblica.

6. Il Polo Museale Arriviamo infine alla ex Caserma Duca delle Puglie dove sono stati “confinati” sin dal 2014, il Museo di Storia Naturale e quello della Guerra di Henriquez.

Gestiti dai ragazzi della cooperativa Europromos – le cui vicissitudini conosciamo e abbiamo denunciato (della loro situazione si sta interessando la FILCAMS Cgil) –, gli ambienti sono spaziosi ma la perifericità del sito, l’abbandono e l’incuria degli altri edifici di quella ex caserma, la compresenza di un monumento che evoca la guerra ed esalta gli eroi, fa dubitare di essere in quel contesto di ragionevolezza e comprensione che dovrebbe portare, come intendeva de Henriquez attraverso un percorso anche didattico, di conoscenza critica e rielaborazione ideale alla cancellazione del conflitto, della guerra e della rimozione della sua barbarie dalla storia. Tanto più necessaria oggi…

A illustrare le vicissitudini del museo ci pensa Marco Zelaschi:

«Il Civico Museo di guerra per la pace “Diego de Henriquez” viene collocato nell’attuale sito nel 1999, con il trasferimento dei mezzi pesanti dall’ex Campo Profughi di Padriciano alla ex caserma Duca delle Puglie in via Cumano 22. La parte documentale, bibliografica e gran parte dell’oggettistica viene sistemata presso un edificio dell’ex caserma Beleno.

Nel 2012 iniziano i lavori per la riqualificazione degli hangar 3 e 4 in cui verranno allestiti al piano terra il percorso museale “Il funerale della pace 1914-1918” e al primo piano “Cent’anni di guerre dal 1914 al 1954”, percorso espositivo che si sviluppa anche con il racconto della vita di Diego de Henriquez. In questi spazi troveranno posto anche la biblioteca, l’archivio documentale e la fototeca. Questa parte del museo aprirà le porte al pubblico il 28 luglio 2014.

Negli anni successivi con lentezza partiranno i lavori di sistemazione degli altri due hangar per l’ubicazione dei restanti mezzi della collezione riguardanti il periodo della Seconda Guerra Mondiale.

Ad oggi non ci sono notizie sulla fine dei lavori e sul piano di allestimento degli spazi dedicati al secondo conflitto mondiale, né tanto meno sulla futura gestione del museo e delle eventuali attività a esso correlate.

Nelle previsioni del Comune di Trieste il museo negli anni a venire doveva raggiungere all’incirca dai 30.000 ai 40.000 visitatori all’anno, nel 2018 ne ha avuti 8602 e 10.070 nel 2019 (per il 2020 e 2021 causa epidemia i dati non possono essere attendibili).

Si è fatto il paragone con il Museo della Guerra di Pivka in Slovenia (ironia della sorte la prima sede del Museo di Diego de Henriquez durante gli anni 1941-1943), il quale apre le porte nel 2006 e l’anno successivo grazie a un finanziamento europeo può ampliare la collezione e riqualificare tutto il comprensorio dell’ex caserma. In pochi anni diventerà il museo più visitato della Slovenia con un numero di accessi che nel 2019 raggiungerà le 60.000 unità. Ogni anno grazie a eventi e mostre si autofinanzia ed espande la propria collezione.

La struttura oggi. L’Ingresso del museo si presenta in uno stato pietoso, con erbacce che crescono ovunque lungo tutto il percorso di entrata fino al cannone Krupp (Schweres Feldkanone) 172 mm posto nel piazzale prospiciente i due hangar restaurati del museo. Inoltre alcuni passaggi per giungere all’ingresso degli edifici sono sbarrati da transenne e cartelli stradali che potrebbero trarre in inganno il visitatore sul possibile accesso all’esposizione.

Gli edifici non riqualificati si presentano in uno stato di totale abbandono, un’orribile vetrina per un possibile visitatore intenzionato a una visita.

Cosa bisogna fare? Organizzare dei percorsi dal centro città per raggiungere il museo e collocare all’ingresso o lungo la via Cumano dei cartelli/simboli possibilmente riprendendo la forma del logo del museo (la grande H di Henriquez), così da indirizzare i turisti verso la sede museale. Togliere le erbacce e le transenne all’ingresso e nei piazzali del comprensorio museale.

Rendere più facile la fruizione della biblioteca e degli archivi a studiosi e appassionati, senza dover prendere appuntamento, ma interagendo direttamente con il personale del museo.

Assumere nuovo personale in tutti i settori strategici per il funzionamento del museo (direttore, ufficio marketing, curatori, conservatori, bibliotecari, guide, tecnici, ecc. possibilmente sotto i 35 anni d’età).

Ricercare nuove forme di finanziamento (finanziamenti europei, donazioni private, collaborazioni con enti pubblici e aziende private) così da avviare un’ulteriore riqualificazione di tutto il comprensorio, un nuovo allestimento dei padiglioni (con una visione di museo indirizzata al futuro e alle nuove forme di visita esperienziale con tecnologie all’avanguardia) e un eventuale incremento della collezione con nuove acquisizioni.»

Il problema più evidente e da risolvere, che si trascina da quasi vent’anni è che quell’Area fa parte del Demanio, l’intervento del Comune NON sarebbe possibile per motivi di competenza (ne sanno qualcosa gli assessori della giunta Cosolini) però qualcuno ha imposto che quell’area DEVE restare museale. E ora si parla di trasferire il Museo Naturale al Magazzino 26…

7. Pericoli e alternative. Trasferimenti in vista? Se così fosse il polo museale non esisterebbe più e vista l’immensa mole dei materiali custoditi nel Museo di Guerra per la Pace sarebbe il caso di pensare all’immensa area della ex Caserma di via Rossetti (magari sollecitando il ministero competente) all’interno di un progetto di rigenerazione urbana che ricomprenda, con una connessione logica e tecnicamente valida non solo una migliore e più coerente sistemazione di quel prezioso lascito non meramente museale, ma anche tutta l’area oggi degradata dell’ex Fiera, che abbiamo visto all’inizio.

Inoltre è in vista un piano traslochi pensato dalla Giunta Comunale, la cui “logica” rasenta la trama di un racconto kafkiano, che (cfr. l’articolo di Massimo Greco sul “Piccolo”) coinvolgerebbe Palazzo Biserini, via Punta del Forno (Archivio comunale) la caserma Beleno, il Palazzo Zois – che però ha anch’esso degli archivi che andrebbero spostati – ma bisogna intervenire sull’ex caserma Beleno ecc.

La storia è datata (agosto 2018) ma per avere un’idea di grandezza dell’operazione di trasloco basti ricordare che parliamo di 10 chilometri lineari di scaffalature necessarie per contenere le decine di migliaia di documenti di ogni tipo raccolti, dal 1700 ai giorni nostri, dall’Archivio Generale del Comune di Trieste. Si dovrebbe avere qualche informazione attendibile su tempistica, modalità, forza lavoro impiegata ecc., inoltre solo 2,4 chilometri verrebbero occupati. E gli altri 7,2?

Inoltre in via Lamarmora ha sede l’Archivio di Stato che dispone, anch’esso di ragguardevole materiale organizzato su 19.748 metri lineari di scaffalature in cui è ordinato un materiale documentario consistente in 130.816 unità archivistiche, 295 pergamene, 31.204 mappe e disegni, 49 timbri e sigilli, 1025 videocassette, 1000 fotografie. Un patrimonio pubblico che serve tutta la città e che potrebbe essere ricompreso all’interno di un progetto armonico di salvaguardia e valorizzazione, oppure? Si ipotizza forse la realizzazione di un polo archivistico?

“Innanzitutto – sostiene la dott.ssa Antonietta Colombatti che abbiamo contattato telefonicamente – è da escludere che un eventuale piano di trasferimento possa essere deciso da una giunta comunale perché noi siamo statali, sappiamo però di quanto sta accadendo ma non esprimiamo giudizi.”

Ecco anche noi non vogliamo suscitare apprensioni o facili allarmismi ma l’approccio del comune al tema cultura anche solo dal punto di vista organizzativo lascia alquanto a desiderare. Per noi la cultura deve stare al centro non in periferia come vorrebbe qualche assessore o almeno non in un contesto dove la logica di difesa del patrimonio culturale e storico della città sembra venire messo ai margini. Questo obiettivo richiede un progetto complessivo di riqualificazione dell’area o meglio di rigenerazione urbana. Gli spazi qui intorno ci sono e vanno recuperati.

8. Il Progetto Pedibus Proseguendo il cammino, sul selciato del marciapiede leggiamo la scritta Pedibus Cumano.

A Trieste, grazie all’iniziativa della Uisp, il progetto Pedibus coinvolge tutta la comunità scolastica, non è erogato dal Comune ma sono i genitori che si mettono a disposizione per far andare i bambini a scuola lasciando a casa le macchine. Il progetto rientra nell’ambito delle politiche per la sicurezza stradale promosse dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e prevede la progettazione di percorsi di Pedibus, per rendere i bambini e le bambine più autonomi e sicuri, riconoscendo loro il diritto a vivere all’interno della propria comunità in un clima di relazioni significative e in una dimensione “sostenibile”, riorganizzando alcuni tratti di strada per renderli più sicuri. Anche per San Giovanni si prevedeva un percorso Pedibus per raggiungere la scuola Filzi-Grego, mentre a Gretta è da poco partito un nuovo progetto con la scuola Saba, grazie al lavoro dei nostri consiglieri comunali in Terza Circoscrizione.