Promuoviamo e sosteniamo l’appello diramato dalla rete italiana delle realtà neomunicipaliste per la giustizia ambientale e sociale, di cui siamo co-fondatori, per un salto di qualità politico, istituzionale e sociale nella gestione dei fenomeni migratori, che coinvolge drammaticamente il nostro territorio.

 

L’intento delle destre sovraniste, razziste e xenofobe, del nostro Paese e non solo, è sempre stato quello di dimostrare che siamo sotto una vera e propria invasione di migranti (rigorosamente dalla pelle non bianca): “Non possiamo ospitare tutta l’Africa”, dicono. Negano che, in un mondo diseguale e in guerra, il fenomeno dell’immigrazione sia strutturale e gridano costamente all’emergenza, che come tale avrebbe bisogno bisogno di risposte “straordinarie” rispetto a ciò che come essere umani dovremmo garantire ad altri esseri umani in tema di diritti fondamentali.

Nell’ultimo anno il nostro Governo ha lavorato esattamente a questo: dimostrare che l’unica via per risolvere “l’emergenza immigrazione” è fare quanto FDI e Lega hanno sempre propagandato, contendendosi tra loro l’elettorato: blocchi navali, porti chiusi, rimpatri.

L’emergenza in corso a Lampedusa e negli hub di prima accoglienza in tutta Italia non dipende da fattori che non possiamo controllare né dai trafficanti, ma è stata creata da precise scelte politiche: la mancanza di visti per l’ingresso legale, innanzitutto, ma anche l’assenza di missioni di salvataggio in mare organizzate (cosa che rende Lampedusa il più facile porto di approdo, per chi non viene inghiottito dal Meditarraneo) e lo smantellamento del sistema di  accoglienza, che rende così più difficile gestire le partenze dall’isola. Così come da una scelta precisa – quella di rendere sempre più complesso l’accesso ai permessi di soggiorno, anche per motivi umanitari – dipende la successiva privazione dei diritti delle persone migranti, che impedisce percorsi reali di autonomia e rende le stesse emarginate e ricattabili, e così facilmente sfruttabili dalla fiorente economia sommersa italiana.

La svolta militare e repressiva sul tema annunciata dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è la tappa di un percorso assolutamente coerente (oltre che strategico in vista delle elezioni europee), con buona pace di chi anche tra le fila del centrosinistra in queste settimane non ha fatto altro che attaccare il Governo sul fallimento della politica dei porti chiusi e dei blocchi navali, denunciando il fatto che la mostruosa propaganda non avesse trovato corrispondenza nella realtà.

Oggi, guardando i manganelli di Lampedusa e il collasso dell’accoglienza nelle nostre città possiamo affermare che ad aver fallito è stato anche il centrosinistra in questi anni, che su questo tema ha inseguito, per assimilarla, l’egemonia culturale, lessicale, comunicativa della destra. La paura di perdere consensi nel perseguire, fino in fondo, un altro modello di società, di diritto alla mobilità, di accoglienza, di linguaggio capace di trasformare anche i rapporti sociali – giustificata dalla convinzione di fare da argine al “vero” razzismo delle destre (come se le altre forze politiche ne fossero immuni) –  ha contribuito a spianare il terreno a quanto sta accadendo in queste ore.

Certo, ci sono comuni che hanno sperimentato con successo, pur nelle difficoltà e nelle contraddizioni, modelli virtuosi di accoglienza diffusa.

Certo, le straordinarie lotte dei movimenti sociali italiani e dei migranti stessi hanno raggiunto dei risultati fondamentali per i diritti delle persone razzializzate, ma sul piano generale la sconfitta politica e culturale di vedere il nostro Paese sprofondare nel più orribile razzismo istituzionale è un fatto da registrare.

È il tempo di reagire. Le nostre città, da terreno di sperimentazione di comunità accoglienti, non possono essere il terreno di sperimentazione di vera e propria apartheid. Mentre Meloni propone la mostruosità giuridica di estendere a 18 mesi (dai 4 attuali) la detenzione amministrativa finalizzata all’espulsione, noi lo diciamo con chiarezza: mai più CPR, né nelle nostre città né altrove. Partiamo da qui. Chiediamo che i fondi che il governo vorrebbe destinare a costruire un CPR in ogni regione e a incarcerare (illegalmente e inutilmente) migliaia di persone per un anno e mezzo tornino ad essere destinati alla prima accoglienza e a ciò che serve per evitare l’emarginazione, a partire da una sistemazione abitativa dignitosa e dai corsi di italiano dei CPIA.

Molte amministrazioni, anche alcune di cui facciamo parte, hanno alzato la voce. Lo facciamo anche noi, ma non basta.

Dobbiamo fare un salto di qualità politico, istituzionale e sociale per tornare ad affermare un’idea dei rapporti sociali basata sulla piena eguaglianza sostanziale e il rispetto dei diritti delle persone, a prescindere dalla loro provenienza.

Dobbiamo esserne l’esempio reale, tangibile, replicabile, comprensibile.

Non accetteremo che le istituzioni dello Stato oggi prostrate alla più spietata politica escludente possano piegare le nostre comunità. Se questo è il livello dello scontro, dobbiamo attrezzarci per reagire e contrattaccare.

A tutti gli amministratori locali e nazionali chiediamo di mobilitarci  assieme, per riaffermare con forza i principi che devono guidare il riscatto sociale, politico e culturale del nostro paese, per tutti e tutte coloro che hanno deciso di viverci o di attraversarlo.