Per la nostra esplorazione di Ponziana ci siamo dati appuntamento all’imbocco della pista ciclopedonale Cottur, in via Orlandini, l’unica vera pista ciclabile della città, costruita sulla linea ferroviaria Campo Marzio-Val Rosandra e frequentatissima da un sacco di persone ogni giorno, che la usano per raggiungere il Carso in bici, per fare due passi con il cane o per andare a correre.

Ma proprio perché è diventata un’arteria così importante, dovrebbe essere meglio integrata con il tessuto urbano: potrebbe partire da Campo San Giacomo per incentivare il commercio di prossimità, le aree verdi potrebbero essere dotate di attrezzi per fare ginnastica, manca un impianto di illuminazione e non sarebbe male qualche servizio igienico lungo la strada. Infine, perché non riutilizzare l’info-point che ora giace in stato di completo abbandono facendolo diventare ad esempio un’officina meccanica per le bici?

Alcuni rioni più di altri sono riusciti a mantenere vivi nel corso del tempo centri culturali e di aggregazione, e Ponziana è sicuramente uno di questi, dove il tessuto sociale è rimasto denso e ricco di iniziative (in parte anche durante questo ultimo anno difficile). Claudio Sibelia ci ha raccontato la storia della Casa del popolo e le varie fasi che ha attraversato: in origine era un laboratorio di pellicceria, negli anni ’70 ha ospitato la sezione di quartiere del Pci e nel 1992 è stata riacquistata da Rifondazione. Gianluca Paciucci dell’associazione Tina Modotti, che ha sede qui, ha messo l’accento sulla volontà di creare un punto di incontro con altri movimenti e altre realtà che hanno una chiara visione di cosa significa impegno sociale e politico. Ma questa è anche la sede dell’Osteria Sociale Casa del Popolo, che ora è gestita dalla Cooperativa Sociale La Collina, come ci ha spiegato Andrea Carena. La cooperativa, che si occupa di innumerevoli servizi in città (dalle strutture alberghiere alle biblioteche, dalle microaree alla radio…), dà lavoro a persone con uno svantaggio, cercando di inventarsi modi diversi e più inclusivi per fare impresa.

Siamo poi scesi lungo la via Orlandini dove un’area verde, che fino a qualche anno fa appariva poco ospitale, ha cambiato volto grazie alle cure e all’impegno dei volontari di Trieste Altruista. Andino Castellano e Federico Bonfanti ci hanno entusiasmato raccontandoci del progetto partecipato che ha coinvolto gli abitanti delle case Ater, il portierato sociale, l’associazione Kallipolis e la Cooperativa Sociale La Quercia, per ripensare assieme uno spazio che ora è finalmente sentito appartenere a tutti i residenti. È la prova del fatto che non servono telecamere e vigilanza armata per cambiare le sorti di un luogo degradato, ma basta farlo diventare un luogo aperto e frequentato da tutti.

Sul ponte che sovrasta la strada, abbiamo poi incontrato le attiviste e gli attivisti della Casa delle Culture, che ci hanno parlato delle loro iniziative per far fronte alle difficoltà economiche create dalla pandemia nella vita di molte persone. Invece di assistere passivamente ai problemi che avevano tutti i giorni davanti agli occhi, hanno creato insieme ad altre realtà e singoli la rete di solidarietà TRAMA, che procura vestiti, medicinali e cibo a chi è in difficoltà. Ma il loro impegno non si ferma qui, perché con il contributo di Strada Si.Cura è stato attivato anche uno sportello informativo per orientarsi nell’accesso ai servizi sanitari e per offrire assistenza nelle procedure burocratiche a chi non maneggia bene la tecnologia.

Certo, non possiamo dire che tutto funzioni così bene, ma ricordiamoci che in ogni territorio ci sono risorse e luoghi che è possibile attivare per rispondere alle crisi che caratterizzano questo periodo storico.

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Al termine dell’esplorazione urbana, mentre alcuni di noi andavano alla Centrale Idrodinamica per una conferenza stampa sull’accordo di programma del Porto Vecchio, altri si sono diretti verso Campanelle per denunciare il fatto che da settimane i cassonetti lungo la pista ciclabile non vengono svuotati. Abbiamo raccolto le immondizie sparse per terra e svuotato i sacchi pieni, come gesto simbolico di denuncia per protestare contro un’amministrazione pubblica che non monitora in maniera adeguata i servizi che esternalizza alle imprese.